11 settembre 2024 – Middle East Eye
Il rifiuto di Netanyahu di porre termine alla guerra a Gaza e al terrorismo dei coloni in Cisgiordania ha gettato i semi dell’odio in tutta la regione
Quando la settimana scorsa tre guardie di sicurezza israeliane sono state uccise vicino al ponte di Allenby che attraversa il confine tra la Giordania e la Cisgiordania occupata il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele era “circondato da un’ideologia omicida guidata dall’Iran.”
A dicembre il suo governo ha detto che Israele sta combattendo una guerra su sette fronti, tutti guidati dall’Iran.
Se questo è un riconoscimento che il rifiuto di Netanyahu di terminare la campagna genocida a Gaza sta rendendo insicuri tutti i confini di Israele, allora esso è tardivo. Tuttavia Netanyahu aveva ragione nel dire che vi è odio per Israele sul lato est della Valle del Giordano.
Come hanno dimostrato i festeggiamenti popolari che hanno fatto seguito alle uccisioni, i giordani non hanno bisogno dell’incitamento attivo dell’Iran.
La campagna genocidaria dell’esercito israeliano a Gaza e il terrorismo dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania hanno piantato spontaneamente i semi dell’odio nel vicinato. La Giordania, che è stata silente per 50 anni sulla questione palestinese, non lo è più.
Gaza ha radicalizzato il mondo arabo in un modo mai visto da oltre un decennio dopo le primavere arabe.
Potenza tribale
Innanzitutto Maher al-Jazi, il camionista che ha compiuto l’attacco, veniva dalla cittadina del sud della Giordania Udrah, nel governatorato del Maan. Haroun al-Jazi, un tempo capo della stessa tribù, guidò i volontari della Giordania dell’est che combatterono nella battaglia di Gerusalemme [contro l’esercito israeliano] del 1948.
Maher è anche discendente di Mashour al-Jazi, il comandante dell’esercito giordano durante la battaglia tra le forze israeliane e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e le forze armate giordane nella città di confine di Karameh nel 1968.
La città e la comunità di al-Jazi sono di pessimo auspicio per coloro che, nelle ambasciate occidentali della regione deliberatamente poco informate, sperano che le braci di questo fuoco possano essere presto estinte.
Perciò, se il lato ovest del confine lungo 335 km viene rapidamente militarizzato dall’esercito israeliano e da almeno un milione di coloni armati, tutto questo assicura che sul lato est di questo confine ci sono le comunità giordane e l’esercito giordano che recluta massicciamente tra di loro.
Ciò che i capi delle comunità hanno pensato della sparatoria è perciò significativo per la stabilità futura di questo confine.
Non scorderò mai quanto facilmente le tribù sono state scaricate dal re Abdullah quando era alla guida di un elicottero Black Hawk, di cui ha a sua disposizione personale una squadriglia.
La scena sembrava uscita da Hollywood, ma funzionò. Il suo passeggero, il giornalista americano Jeffrey Goldberg, fu parecchio impressionato e ne scrisse per il giornale The Atlantic.
Il re stava andando a pranzo con i capi tribù a Karak: “Oggi mi siederò a tavola con vecchi dinosauri”, disse Abdullah a Goldberg.
Ciò avveniva pochi mesi prima della fine delle primavere arabe nel 2013
Oggi il re non si azzarderebbe a chiamare i capi delle tribù “vecchi dinosauri”, ovviamente a meno che lui stesso fosse condannato all’estinzione.
In questi tempi difficili la monarchia hashemita dipende, più di quanto mai prima, dalle tribù come pietra angolare della sua legittimità, che è logorata da una prolungata crisi economica.
Ciò che dicono i capi tribù è considerato una bussola dell’umore della nazione.
Una rabbia cresciuta all’interno
Lunedì non c’era traccia di cordoglio o di scuse nelle loro dichiarazioni.
Il clan Al-Huwaitat ha presentato una dichiarazione da parte della famiglia secondo cui la piena responsabilità per ciò che è avvenuto al passaggio del confine era da addebitare unicamente al primo ministro israeliano ed ha aggiunto: “Il sangue del nostro figlio martire non è più prezioso del sangue del nostro popolo palestinese e non sarà l’ultimo martire.”
Il capo del clan Bani Sakhr, Sheikh Trad al-Fayez, ha plaudito a questa “eroica operazione” che “è espressione del nostro popolo e della nostra nazione”. Ha proseguito: “I popoli della nazione devono prendere una posizione decisa, onesta e ferma nei confronti di questa aggressione.”
In tutto questo non va individuata alcuna impronta dell’Iran o di qualunque altra potenza straniera. La rabbia si è sviluppata all’interno.
Ahmad Obeidat, un ex primo ministro e capo dell’intelligence, aveva detto cose simili prima che avvenisse la sparatoria. Obeidat non ha mai visto il suo Paese così unito dietro la causa della resistenza palestinese. “Questa battaglia è la battaglia di tutti. Perché il destino è uno solo. Ed il nemico che prende di mira la Palestina sicuramente farà altrettanto con la Giordania”, ha detto.
Odeidat ha ritenuto questo una conseguenza naturale del fatto che Israele ha deciso che il tempo di governare il conflitto è finito: “Voi israeliani o uccidete i palestinesi o li deportate. O li uccidete o li deportate. Questo accade davanti ai nostri occhi”, ha detto.
“Qualunque arabo o musulmano che abbia consegnato un granello del suolo della Palestina storica – non solo il 22% ceduto per negoziare il 4 giugno 1967 – è un traditore del suo Paese, della sua nazione e della sua religione,” ha dichiarato.
Un altro indicatore dello stato d’animo nazionale in Giordania sono i risultati preliminari delle elezioni parlamentari in base ad un sistema disegnato per limitare la possibilità di una forza politica di ottenere seggi anche se ha la maggioranza dei voti.
Ciononostante in base ai risultati provvisori il partito di Azione Islamica della Fratellanza Musulmana ha ottenuto 18 dei 40 seggi. Si presume che ricevano altri 14 seggi dalle località, arrivando a circa 32 seggi su 130, che farebbe di loro il più grande partito che non fa parte di una coalizione.
Una fondamentale sfida alla sicurezza
Questo grado di coinvolgimento, 11 anni dopo il soffocamento delle primavere arabe, non può essere considerato unicamente come la conseguenza dell’apertura da parte di Israele di un secondo fronte in Cisgiordania della campagna di Gaza.
Non è neppure la conseguenza degli avvertimenti da parte del Ministro degli Esteri israeliano Israel Katz riguardo alla necessità di “temporanee evacuazioni” in “alcuni casi di combattimenti intensi.” E non è neppure dovuto al fatto che il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich a giugno ha rivelato che il suo governo stava modificando, clandestinamente, il modo in cui la Cisgiordania era governata, realizzando l’annessione a tutti gli effetti.
Né certamente [è conseguenza] della mappa digitale creata da Netanyahu in cui alla Giordania è stato dato lo stesso colore di Gaza mentre la Cisgiordania è stata cancellata del tutto.
Se dovessi indicare un documento, una testimonianza di come le azioni e le parole di Israele pongono una fondamentale minaccia alla sicurezza della Giordania e certamente di tutti i suoi vicini arabi, sarebbe una recente inchiesta della BBC su come i coloni si impadroniscono di vaste porzioni di terra attraverso avamposti agricoli, che sono illegali sia per le leggi israeliane che per il diritto internazionale.
A febbraio Moshe Sharvit, un colono sanzionato dal Regno Unito e dagli USA per violenze e intimidazioni contro palestinesi, ha organizzato una giornata a porte aperte nel suo avamposto, che è stata filmata.
Sharvit ha spiegato quanto fosse efficiente nell’occupare la terra: “Il rimpianto più grande di quando noi (coloni) abbiamo costruito gli insediamenti è stato che siamo rimasti all’interno delle recinzioni e non abbiamo potuto espanderci”, ha detto alla folla. “L’azienda agricola è molto importante, ma la cosa più importante per noi è l’area circostante.”
Sharvit ha sostenuto di controllare 7.000 dunam (7 Km2) di terra. I coloni ridono mentre intimoriscono, aggrediscono e sparano ai contadini palestinesi cacciandoli dalla loro terra. Sono truppe d’assalto che depredano vittime impotenti. Si pavoneggiano. Sorridono.
Vi sono ora 196 avamposti che sono illegali per le leggi israeliane. Sono raddoppiati negli ultimi cinque anni, molto prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Sfido chiunque a guardare questo documentario e non sentire crescergli dentro la rabbia.
Sharvit non agisce da solo. L’associazione israeliana per i diritti umani Peace Now ha ottenuto dei documenti contrattuali che mostrano che due organizzazioni con legami ufficiali con lo Stato israeliano forniscono il denaro per queste appropriazioni di terreni.
Una di esse è Amana, che ha prestato 270.000 dollari ad un colono per costruire delle serre in un avamposto. Secondo l’inchiesta della BBC in una registrazione trapelata da una riunione di dirigenti nel 2021 si può sentire l’amministratore delegato di Amana, Ze’ev Hever, dire: “Negli ultimi tre anni… un’attività che abbiamo espanso è l’allevamento (degli avamposti). Oggi l’area (che controllano) è quasi due volte la dimensione degli insediamenti costruiti.”
Il Canada sanziona Amana per “azioni violente e destabilizzanti contro civili palestinesi e le loro proprietà in Cisgiordania”.
Un’altra organizzazione che dà aiuti agli avamposti per allevamento è l’Organizzazione Sionista Mondiale (WZO), la cui divisione per gli insediamenti è responsabile dell’amministrazione di alcuni terreni occupati da Israele nel 1967.
Questa divisione si definisce come un “braccio dello Stato israeliano”. Dispone anche di soci e partner internazionali. Almeno uno di loro è un’organizzazione benefica registrata in Gran Bretagna.
La BBC ha offerto a Amana e a WZO il diritto di replica, ma nessuna delle due ha risposto.
Middle East Eye ha offerto a WZO un’altra opportunità di esporre la sua tesi, ma al momento in cui scriviamo non è stato ricevuto nulla da loro.
Gli USA, il Canada e il Regno Unito sanzionano i coloni violenti, mentre lasciano liberi i loro finanziatori e soci di operare in Gran Bretagna e in America.
Come è possibile? Sicuramente questo merita un esame più accurato.
Alimentare odio
È difficile non concludere che i nostri governi si preoccupano solo dell’ultimo e più visibile legame in una catena internazionale che ha inizio da casa nostra.
È difficile distinguere tra i coloni e i soldati, che un giorno aggrediscono i contadini palestinesi e il giorno dopo vengono filmati mentre gli sparano.
È ancor più difficile tracciare un confine tra le colonie e gli avamposti e ciò che una volta affettuosamente ma erroneamente si definiva “l’Israele vero e proprio”.
Questo interessa, o dovrebbe interessare, agli USA, al Regno Unito, all’UE o ad ogni Paese europeo che sostiene di appoggiare la creazione di uno Stato palestinese. Perché è qui, in due terzi della terra della Cisgiordania, che la causa palestinese per l’autodeterminazione sta venendo affossata, come ben sa Smotrich.
Ogni appropriazione di ogni dunum di terra è un atto di guerra in questa battaglia, l’unica che conta. Ed è una guerra condotta dall’intero Stato di Israele e dall’intera comunità sionista in tutto il mondo.
Non esiste alcuna difesa del diritto di un tale Stato di “difendersi”, quando esso stesso è costantemente e silenziosamente all’attacco.
Non c’è da stupirsi che Israele alimenti e incentivi l’odio dei suoi vicini. Questo odio è ampiamente meritato. Casomai è sottovalutato.
Perché non è solo Israele che può giungere alla conclusione che “o noi o loro”. I suoi vicini possono fare altrettanto.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
David Hearst è cofondatore e caporedattore di Middle East Eye. È commentatore e relatore sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. È stato capo giornalista degli esteri per il Guardian e corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per l’educazione.
(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)


