Gli edifici sventrati di Gaza sono l’ultima risorsa per le famiglie in cerca di riparo

Un Gazawi e la sua famiglia usano come rifugio le macerie della loro casa . Foto: Omar AshtawyAPAimages
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Huda Skaik

23 dicembre 2025 – The Electronic Intifada

Intorno all’ospedale Al-Shifa di Gaza City intere strutture ed edifici sono accartocciati, con i muri che sono inclinati ad angolo acuto. I pavimenti e i soffitti cedono, come se si stessero sgretolando, e le scale sono sospese a mezz’aria.

Queste rovine inzuppate dalla pioggia non sono adatte ad essere abitate; sono così instabili che una raffica di vento o una notte di pioggia intensa potrebbero farle crollare. Eppure, a causa della mancanza di tende e di spazio disponibile nei rifugi di Gaza, gli sfollati vivono al loro interno.

Sono andata in scuole e rifugi, ma nessuno ci ha accettati,” afferma Sumaya Nabhan, 32 anni.

“Semplicemente non c’era spazio. Ho un marito ferito e tre figli. Se avessi una tenda, anche se significasse vivere per strada, la preferirei a questo edificio.”

Prima del genocidio Nabhan e la sua famiglia vivevano in una modesta abitazione con una sola stanza nella zona di Tel al-Zaatar, nella Striscia di Gaza settentrionale, ma quella casa è stata distrutta dai bombardamenti israeliani.

Da sette mesi occupano questo edificio pericolante nel quartiere di al-Rimal, che pende così tanto verso destra che gli occupanti istintivamente cercano di mantenere l’equilibrio per contrastare la pendenza.

“Persino il bollitore del tè è inclinato”, dice Nabhan.

Nabhan e suo marito hanno rimosso le macerie quanto basta per potersi infilare all’interno dell’edificio, ma ogni volta che piove il tetto perde come un tubo rotto e di notte entrano cani randagi.

“Resto sveglia tutta la notte per proteggere i miei figli dai cani”, dice.

“Cosa significa questa casa per me?” afferma. “Un rifugio. Niente nella vita conta di più, nemmeno il cibo.”

Secondo la Protezione Civile palestinese almeno 17 edifici residenziali sono crollati in seguito alle tempeste invernali che hanno colpito Gaza nel mese di dicembre, mentre l’UN Agency for Palestine Refugees [agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi] (UNRWA) ha segnalato 16 decessi come conseguenza delle stesse tempeste, in alcuni casi a causa del crollo di edifici allagati su famiglie che vi avevano trovato rifugio”.

Utenti di social media e organi di informazione hanno documentato il crollo di numerosi edifici a Gaza, con palestinesi rimasti intrappolati sotto le macerie di edifici che, danneggiati dai bombardamenti israeliani, sono poi collassati sotto la pioggia invernale.

Sumaya Nabhan afferma di essere ossessionata dal pericolo di vivere in un simile edificio.

Purtroppo le sue possibilità di trovare un alloggio sono molto limitate, dato che, secondo un’analisi delle immagini satellitari fatta dall’ONU, nell’ottobre 2025 l’81% degli edifici a Gaza è danneggiato.

“Vivo con tristezza e disperazione”, dice. “A volte desidero la morte piuttosto che questo”.

Il suo unico sogno ora è “una tenda chiusa”.

“Mi sento come se vivessi in un posto inadatto agli esseri umani”, afferma.

Come uno scivolo in un parco divertimenti

Nella stessa strada di al-Rimal dove vivono Nabhan e la sua famiglia, anche Serene al-Farra, 31 anni, occupa con il marito e i due figli una struttura parzialmente crollata.

Prima del genocidio la sua casa a Tel al-Zaatar era un luogo stabile e semplice, con “due stanze, un soggiorno, una cucina e un bagno”. Amava soprattutto il soggiorno.

Ma la loro casa fu distrutta nei primi giorni del genocidio e da allora si sono trasferiti da un posto all’altro, fino a stabilirsi, nel maggio 2025, in questa struttura vicino all’ospedale Al-Shifa.

Ci sentiamo abbastanza al sicuro anche sotto le macerie”, dice, ma quando si entra sembra di stare su uno scivolo in un parco giochi”.

L’edificio è talmente inclinato che gli occupanti più anziani, come i suoi genitori, spesso non riescono a stare in piedi.

Già nell’ottobre 2023 i raid aerei israeliani “rasero al suolo” il quartiere di al-Rimal, un tempo brulicante di vita: le riprese aeree di quel periodo mostravano una distruzione diffusa e cumuli di macerie.

Da allora non è cambiato molto, poiché interi isolati sono ancora irriconoscibili e il cessate il fuoco non ha contribuito in alcun modo a ridurre il pericolo di crollo di queste abitazioni.

Al-Farra racconta che quando piove la casa si allaga, quindi infila coperte negli angoli per assorbire l’acqua, cercando di evitare che raggiunga i suoi figli mentre dormono.

Non ci sono finestre, quindi il freddo è insopportabile,” dice. Non abbiamo un bagno. Per costruirne uno dovremmo scavare attraverso due piani crollati”.

Afferma che il suo carattere è completamente cambiato.

“Sono più irritabile e più apprensiva verso i miei figli.”

Teme che da un momento all’altro un muro crolli sul figlio mentre è chinato sul quaderno cercando di disegnare, o sulla figlia mentre gioca.

«Se mi sento al sicuro? No. Provo solo paura.»

Il suo desiderio è semplice come quello di Nabhan: “Una stanza. Una tenda. Qualsiasi cosa sia stabile.”

Pietre che cadono

Islam al-Faram, 37 anni, ha piantato una tenda in quello che un tempo era il cortile davanti alla sua casa, tra due strutture parzialmente crollate e pericolosamente inclinate.

“Da lì cadono detriti”, dice riferendosi agli edifici vicini. “Oggi delle pietre ci sono cadute addosso a causa della pioggia.”

Al-Faram e suo marito hanno rimosso le macerie dalla loro vecchia casa ad al-Rimal per poter montare dei teloni dove un tempo c’era il cortile. Hanno deciso di rimanere qui perché questa era la loro casa, anche se resta solo il terreno sottostante.

“Questo posto custodisce i nostri ricordi”, dice. “Anche se siamo in una tenda, sembra che parte della nostra anima sia ancora qui”.

Ma la tenda ha portato con sé le sue difficoltà: “Quando soffia il vento, vola via tutto. Quando piove, l’acqua inonda l’interno. Lavare, cucinare, tutto è una lotta“.

Afferma di sentirsi più al sicuro qui che in un rifugio affollato dove “non c’è nemmeno spazio per respirare”.

“Mi sento al sicuro perché qui c’era la mia casa”, sostiene.

La figlia di Al-Faram, Ghina, di 8 anni, dice: “Voglio guardare di nuovo la TV”.

Quando a dicembre è arrivata la pioggia l’acqua ha allagato la tenda e le macerie delle case circostanti, ormai pericolanti, sono crollate nelle vicinanze.

“A volte ho paura”, afferma Ghina.

La sua distrazione preferita è giocare a nascondino con suo cugino.

Le manca “molto” la scuola.

Huda Skaik è una studentessa di inglese e giornalista che vive a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)