Il coronavirus tradisce Netanyahu

Manifestanti contro Netanyahu AP/Oded Balilty
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Akiva Eldar

8 agosto 2020 – Al Jazeera

La cattiva gestione del ritorno della pandemia e la sua proposta di elezioni anticipate potrebbero far cadere il primo ministro israeliano.

Non molto tempo fa ho scritto un commento per Al Jazeera in inglese, suggerendo che il primo ministro Benjamin Netanyahu “passerà alla storia come il primo leader che deve il suo incarico a un virus”.

Ad aprile, infatti, è stata la paura pubblica della pandemia che ha indotto il leader dell’alleanza Blu e Bianco Benny Gantz a violare la sua promessa elettorale agli elettori di non formare una coalizione .

Il primo ministro in carica, usando il gergo militare, aveva detto che tutti “dovevano tenere su la barella” per esortare i suoi rivali politici a unire le forze con lui per sconfiggere il comune nemico virale. Aveva presentato delle opzioni alternative – o un cosiddetto “governo di unità” che mettesse insieme politicamente la destra e il centrosinistra, o quarte elezioni politiche, che sarebbero state una scelta palesemente antipatriottica e in pratica sovversiva.

Gantz ha seguito il suo invito e probabilmente se ne sta già pentendo. Oggi sembra sempre più che Netanyahu non solo non sia in grado di gestire le conseguenze politiche ed economiche della pandemia, ma sia anche disposto a gettare il Paese in subbuglio per salvarsi dalla prigione.

Mentre Israele sta affrontando una seconda ondata di COVID-19, gli ospedali si stanno riempiendo, la disoccupazione e i fallimenti stanno aumentando e un buco di bilancio sta minacciando la posizione finanziaria di Israele a livello mondiale, Netanyahu sta spingendo per nuove elezioni, nonostante solo pochi mesi fa demonizzasse tale prospettiva.

A luglio, notizie sui media israeliani hanno rivelato che il primo ministro sta cercando di sciogliere la coalizione e provocare elezioni anticipate nel tentativo di riprendere il controllo del ministero della Giustizia e assicurarsi di non essere costretto a lasciare il suo incarico per affrontare il processo.

In effetti, Netanyahu sta trascinando gli israeliani alle urne per la quarta volta in meno di 18 mesi all’inizio di quello che si prevede sarà un cupo inverno. Ma questa volta ciò potrebbe portare alla sua fine politica.

Il 2 agosto Miki Zohar, membro di coalizione della Knesset, ha paragonato il rapporto tra il Likud di Netanyahu e Blu e Bianco di Gantz a una coppia che “vuole divorziare e sta per mettere la firma da un momento all’altro”. Lo sfacciato legislatore, che è uno dei più stretti confidenti di Netanyahu, ha aggiunto che “non importa quello che faremo, tra noi e Blu e Bianco sta per andare a monte”.

Netanyahu non ha alcuna garanzia di ottenere la custodia della maggior parte dei figli, in particolare dei molti indecisi e disoccupati che sono così stufi di tutta la faccenda che potrebbero quindi abbandonare la loro affiliazione politica. Un sondaggio di aprile ha dato alla gestione della crisi sanitaria da parte di Netanyahu un indice di gradimento del 68%, mentre sull’ Israely Voice Index [rubrica periodica di statistica, ndtr.] di luglio condotto dall’Israel Democracy Institute [centro indipendente di ricerca e azione dedicato al rafforzamento delle basi della democrazia israeliana, ndtr.] solo il 25% degli intervistati ha approvato la sua perfomance nell’affrontare la crisi, e solo il 30% degli stessi il modo in cui lui gestisce il governo.

Nella primavera del 2020 il coronavirus ha sorriso a Netanyahu, dipingendolo come un eroe nazionale che ha messo a tacere l’epidemia, un leader unico, insostituibile, degno di gloria e, ovviamente, di clemenza. Quando a giugno l’epidemia ha risollevato la testa e Israele si è distinto tra gli Stati più pericolosi del mondo le vanterie di Netanyahu secondo cui Israele stava facendo “meglio della maggior parte dei Paesi” sono diventate una commedia da cabaret trito e ritrito.

Netanyahu, che inizialmente aveva imposto misure rigorose per arginare la diffusione del COVID-19, alla fine di maggio sotto forti pressioni pubbliche e politiche, ha deciso di allentare le restrizioni. Ha ignorato gli esperti che davano i consigli al suo Consiglio di sicurezza nazionale, il quale ha insistito sull’adozione di un modello corretto per alleggerire il blocco, cosa che avrebbe potuto ridurre significativamente la diffusione della malattia.

In una lettera del 27 giugno a Netanyahu e al ministro della Salute Yuli Edelstein, lo staff ha scritto che il Paese “ha perso il controllo della pandemia” e ha avvertito che in assenza di misure immediate per fermare le infezioni, Israele avrebbe potuto ritrovarsi sotto un altro blocco.

Insieme al disprezzo per i consigli degli esperti sanitari, Netanyahu ha mostrato insensibilità per la difficile situazione economica dei molti israeliani duramente colpiti dalla pandemia, tra cui circa un milione di disoccupati e decine di migliaia di piccoli imprenditori. Il sostegno finanziario del governo a chi ne ha bisogno è stato troppo scarso e troppo lento.

Nonostante la crescente rabbia dell’opinione pubblica, alla fine di giugno Netanyahu ha chiesto alla Knesset di approvare rimborsi fiscali retroattivi per le spese della sua villa privata a Cesarea. Alla fine ha espresso rammarico per la tempistica, ma non per la richiesta in sé, che la Knesset ha esaudito.

Il suo successivo errore di giudizio, che potrebbe costargli l’incarico, è stato quello di essersela presa con coloro che manifestavano fuori dalla sua residenza ufficiale a Gerusalemme contro la corruzione del governo, fianco a fianco artisti, studenti, attivisti sociali e molti altri che ritengono che il governo li abbia abbandonati al loro destino.

Netanyahu ha dipinto i manifestanti come “anarchici” e “di sinistra”, intenzionati a rovesciare “un forte leader di destra”.

Contrariamente alle sue affermazioni, le decine di migliaia di manifestanti a Gerusalemme e altrove nel Paese non sono certo anarchici finanziati da organizzazioni di estrema sinistra. Tra i manifestanti che ho incontrato c’erano elettori del Likud, israeliani religiosi e ultraortodossi e persino sostenitori della famiglia Netanyahu.

Il 31 luglio, Channel 12 [canale televisivo israeliano privato, ndtr.] ha trasmesso un monologo dell’ architetto di interni Moshik Galamin, che in precedenza era stato protagonista nelle clip della campagna elettorale di Netanyahu. “Sono preoccupato per il mio futuro e per quello dei miei amici lavoratori autonomi, quelli di cui a voi lassù non frega niente”, ha affermato in prima serata la celebrità di Tel Aviv. “Questo non è sicuramente un problema di destra o di sinistra e io non sono assolutamente un anarchico. Ovviamente sai che non sono contro di te. Sono semplicemente Moshik Galamin, un lavoratore autonomo, un cittadino preoccupato che vive in questo Paese, che vuole che tu tenga conto anche di me.”

Israeli Voice Index di luglio rivela che la maggior parte degli israeliani non vuole elezioni in questo momento, né per l’impasse del bilancio tra Netanyahu e Gantz né per qualsiasi altra ragione.

Netanyahu sta già puntando il dito contro Gantz, che insiste sul fatto che Netanyahu onori il suo accordo di coalizione con Blu e Bianco e presenti un bilancio pubblico per i prossimi due anni piuttosto che per un anno su cui ora insiste, per ciò che rimane del 2020.

Il prossimo futuro non è di buon auspicio per Netanyahu, e non solo per il rifiuto del virus di soddisfare i suoi interessi personali. A novembre, potrebbe non solo perdere le elezioni, ma anche il suo benefattore della Casa Bianca e trovarsi a dover fare i conti con le maggioranze democratiche in entrambe le camere del Congresso degli Stati Uniti. A partire dal 21 gennaio, la sua agenda sarà piena di comparizioni in tribunale per difendersi dalle accuse di corruzione e inevitabilmente contro richieste secondo cui è inadatto a rimanere in carica.

Il virus che ha portato Netanyahu al comando ora sembra far presagire la sua fine politica.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Akiva Eldar è un analista politico israeliano.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)