La morte della giornalista palestinese mette in evidenza l’inconsistenza delle indagini dell’esercito israeliano

Un ragazzo di Gaza mostra un'immagine di Shereen Abu Aqleh Foto: APA Images/Rex/Shutterstock
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Bethan McKernan

14-giugno-2022 –The Guardian

L’uccisione con armi da fuoco di Shireen Abu Aqleh a maggio solleva nuove preoccupazioni per le inchieste militari sulla morte dei palestinesi.

Nell’agosto 2020 la 23enne Dalia Samoudi è stata uccisa quando un proiettile è entrato dalla finestra della sua casa a Jenin, nella Cisgiordania occupata, durante un raid delle forze di difesa israeliane (IDF) in una casa vicina.

Al Jazeera riferì dell’incidente: i testimoni affermarono che era stata uccisa da un soldato dell’IDF che sparava in direzione di palestinesi che lanciavano pietre. Due anni dopo la rete televisiva avrebbe riferito della morte della sua corrispondente di lunga data, Shireen Abu Aqleh, quasi nello stesso luogo.

Ancora una volta i testimoni hanno affermato che il fuoco mortale proveniva dai soldati israeliani, sebbene questa volta fossero presenti solo giornalisti e personale dell’IDF. Abu Aqleh, 51 anni, che indossava un giubbotto protettivo e un elmetto con la scritta “stampa”, è stata colpita da un colpo di arma da fuoco sotto l’orecchio.

Le cifre [dei militari israeliani messi sotto inchiesta, ndt] mostrano che i meccanismi investigativi dell’esercito non sono adatti allo scopo, ha affermato Dan Owen, un ricercatore di Yesh Din [Volontari per i diritti umani è un’organizzazione israeliana che lavora in Israele e in Cisgiordania, ndtr.].

Ha aggiunto: “Per definizione l’esercito non può fare un lavoro adeguato perché sta indagando su se stesso. Le condanne sono di solito per cose come l’uso illegale della forza o il maneggio errato di un’arma, piuttosto che per omicidio o omicidio colposo, e i soldati possono scontare la loro pena facendo lavori umili per alcuni mesi nelle basi militari”.

“Ogni anno vediamo che l’esercito presenta dati leggermente migliori e c’è una possibilità leggermente più alta che la denuncia di un palestinese porti a un atto d’accusa che verrà elaborato più rapidamente. Ma lo scopo generale di questo sistema non è la giustizia: è respingere le critiche interne e internazionali».

L’IDF afferma che in Cisgiordania le prime indagini operative vengono iniziate in tutti i casi in cui un palestinese viene ucciso, a meno che la morte non sia avvenuta in combattimento. Sulla base di questi risultati, e in conformità con la legge israeliana, l’avvocato militare decide se un’indagine penale è giustificata.

“La morte di un palestinese in [Cisgiordania] in genere susciterà la presunzione di sospetto di attività criminale, il che attiverebbe un’indagine penale immediata… Se non ci sono indagini penali immediate, attendiamo i risultati dell’esame operativo e raccogliamo ulteriori materiali e in seguito rivalutiamo se esiste un ragionevole sospetto di un crimine”, ha affermato un alto funzionario del sistema giuridico israeliano.

Nel caso della cittadina palestinese americana Abu Aqleh l’esercito israeliano ha affermato che poiché la giornalista è stata uccisa in una “situazione di combattimento attivo” non sarebbe stata avviata un’indagine penale immediata, anche se si sarebbe proceduto con un’indagine operativa. Israele ha anche criticato la decisione dell’Autorità Nazionale Palestinese di non collaborare a un’indagine congiunta o di non consegnare prove, come il proiettile che l’ha uccisa.

L’amministrazione Biden e il consiglio di sicurezza dell’Onu hanno chiesto un’indagine trasparente. Alla fine di maggio la morte di Abu Aqleh si è aggiunta a una denuncia legale presentata alla Corte penale internazionale che sostiene che le forze di sicurezza israeliane prendono di mira sistematicamente i giornalisti palestinesi in violazione del diritto umanitario internazionale.

Secondo il Centro palestinese per lo sviluppo e le libertà dei media dal 2000 30 giornalisti sono stati uccisi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza dal fuoco israeliano, ma non sono mai state presentate accuse contro i soldati.

“Non capita spesso di avere un caso di alto profilo come Shireen”, dice Owen. “A meno che un omicidio non sia stato ripreso dalla telecamera senza alcun dubbio su chi l’ha commesso è altamente improbabile che venga indagato… Detto questo, i nostri dati mostrano più e più volte che anche quando l’esercito indaga, ciò non conduce alla giustizia”.

Nonostante conosca le basse probabilità di successo, il marito di Samoudi, Bassam, si rifiuta di rinunciare alle indagini dell’IDF sulla sua morte. Sta ancora sperando in risposte su come e perché sua moglie è morta.

Le prove sono così forti. Ovviamente sono preoccupato per il basso tasso di condanne, ma in questo caso può esserci solo un risultato”, ha detto. “Questa è l’unica opzione che ho, quindi devo usarla.”

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)