Va tutto bene, tutti sono a favore dell’apartheid.

Israeli prime minister Naftali Bennett and Foreign Minister Yair Lapid hold a joint press conference at the Israeli parliament in Jerusalem on June 20, 2022. Photo by Yonatan Sindel/FLASH90
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Hagai El-Ad

12 luglio 2022 – Haaretz

Non so perché il primo ministro Naftali Bennett abbia deciso di dare le dimissioni. Una cosa può e dev’essere subito chiara: la ragione che ha citato – l’impossibilità di far approvare il rinnovo delle disposizioni d’emergenza che estendono le leggi israeliane ai cittadini in Cisgiordania – è una narrazione di convenienza, ma non è nient’altro che questo. Non sono le disposizioni riguardanti Giudea e Samaria [definizione biblica della Cisgiordania, ndt.] che hanno fatto cadere il governo, non è riguardo ad esse che andremo a votare, e quello che è stato svelato è l’esatto contrario di quanto sostenuto: non è un dissidio che ha fatto sciogliere la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.], ma un consenso generalizzato.

Secondo la narrazione che prende a pretesto le disposizioni il 1 luglio 2022 avrebbe dovuto essere il giorno d’inizio del collasso dell’ordine pubblico nell’“area di Giudea e Samaria” e la demolizione dei legami tra Israele e quelle terre. Il primo giorno della “giungla”, del “caos” e dell’“anarchia” – tutte citazioni dal ministro della Giustizia Gideon Sa’ar alla Knesset. Il procuratore generale Gali Baharav Miara, che, per dirla in modo cortese, fa frequenti dichiarazioni pubbliche, non ha lesinato sforzi per descrivere l’abisso che si avvicinava nel conto alla rovescia da giugno a luglio. Un abisso con da una parte il beato ordine pubblico e dall’altra il minaccioso caos.

Dobbiamo finire nell’abisso o saremo salvati all’ultimo momento? Mai prima d’ora così tanti hanno atteso con il fiato così sospeso la decisione riguardo alle disposizioni, di cui la maggioranza non aveva mai sentito parlare. In ogni caso, possiamo stare tutti tranquilli. Prima di mezzanotte la Knesset si è sciolta e le disposizioni sono state automaticamente prorogate. Ma eravamo davvero sull’orlo del disastro?

Innanzitutto, disposizioni o meno, non sarebbe cambiato niente. Migliaia di prigionieri palestinesi non sarebbero usciti marciando da un lato all’altro della Linea Verde [il confine tra Israele e i territori occupati, ndt.]. I coloni non sarebbero stati improvvisamente giudicati da tribunali militari e nessuna strenua muraglia dell’ordine pubblico si sarebbe sgretolata.

C’è un recente esempio di un’altra norma temporanea (certo, temporanea) che non si è riusciti a rinnovare: la legge razzista che vieta ai palestinesi di sposarsi a ovest della Linea Verde [cioè in Israele, ndt.] se uno di loro è residente a est di essa. La legge è scaduta nel luglio 2021. E poi cosa è successo?

Improvvisamente migliaia di coppie palestinesi hanno ottenuto uno status legale in Israele? Legge o non legge, la ministra degli Interni Ayelet Shaked ha continuato con la politica precedente. Dopo sei mesi l’Alta Corte di Giustizia ha detto qualcosa al riguardo, e due mesi dopo la legge è stata di nuovo approvata. Legge o non legge, i palestinesi non potrebbero, non possono e non potranno ottenere uno status legale qui. Disposizioni o non disposizioni, lo status degli ebrei nei territori non verrà declassato. In fin dei conti siamo i padroni della terra. Di tutta la terra.

Secondo, si noti la confusione concettuale che cerca di definire lo status quo (con le disposizioni) come “ordine” e opposto al disastro previsto (senza disposizioni) come “caos”. Com’è esattamente lo status quo, in cui milioni di sudditi vivono senza diritti da 55 anni: “ordine”? Perché un futuro non basato su disposizioni di apartheid è “caos”?

Una delle precondizioni fondamentali dello stato di diritto è l’uguaglianza davanti alla legge. Le disposizioni riguardanti Giudea e Samaria, come molti altri aspetti del regime di apartheid, sono l’esatto contrario dell’uguaglianza davanti alla legge. Pertanto sono una parte essenziale del caos, dell’anarchia morale, del disordine insito in un regime che privilegia un gruppo etnico-nazionale rispetto a un altro.

Terzo, tutto il teatrino riguardante le disposizioni su Giudea e Samaria non rivela alcun dissidio. Al contrario svela il consenso generalizzato tra l’opinione pubblica e il parlamento (eletto dalla parte dell’opinione pubblica titolare di diritti politici) riguardo al regime di supremazia ebraica sui palestinesi. Il consenso è così vasto e così solido che tutti sanno molto bene che non cambierà nulla. Questa è l’unica ragione per cui hanno voluto “giocare con il fuoco” con le disposizioni, in quanto il fuoco è ovviamente spento. Se fosse stata in gioco una questione fondamentale, non ci saremmo mai arrivati vicino.

Disposizioni o meno, quello che l’attuale vicenda (proprio come la legge sulla cittadinanza dell’anno scorso) rivela è che il regime è più potente di qualunque legge. E dato che ciò che conta sono i fatti fondamentali del regime, e non passeggere mosse politiche, non c’è niente di cui essere entusiasti.

Va tutto bene, tutti sono a favore dell’apartheid, tutti ne fanno parte (e grazie al governo del cambiamento per aver messo in chiaro questo punto). Se necessario gli aspetti formali prima o poi verranno risolti e i palestinesi continueranno a vivere secondo le leggi della giungla morale che abbiamo imposto loro. Quello che chiamiamo lo stato di diritto.

L’autore è il direttore generale di B’Tselem [principale ong israeliana per i diritti umani, ndt.]

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi]