Jonah Valdez
17 ottobre 2024, The Intercept
Durante un simposio ad Harvard una storica che ha denunciato il silenzio del New England Journal of Medicine sulle atrocità naziste ha evidenziato il trattamento riservato dalla rivista a Gaza.
All’inizio di quest’anno due storici della medicina di Harvard hanno pubblicato un articolo su come una delle principali riviste mediche americane abbia intenzionalmente ignorato le atrocità naziste degli anni ’30 e ’40. L’articolo ha rivelato che il New England Journal of Medicine, una delle più longeve e prestigiose pubblicazioni mediche della nazione, scelse di non occuparsi delle politiche sanitarie razziste e antisemite del regime nazista, delle uccisioni di massa e della sperimentazione medica e, in un caso, elogiò il sistema sanitario nazista per il suo approccio alla salute pubblica.
Mercoledì il New England Journal of Medicine ha tenuto un convegno in cui i redattori, Joelle M. Abi-Rached e Allan M. Brandt, hanno potuto presentare le loro scoperte, e Abi-Rached ha colto l’occasione per criticare la rivista per aver reiterato oggi quegli errori.
“Il silenzio della rivista in merito alla polverizzazione del sistema sanitario a Gaza, all’attacco implacabile di Israele contro gli operatori sanitari, alla creazione di un disastro umanitario e sanitario pubblico e all’utilizzo della fame come arma è simile o diverso dal suo silenzio durante l’Olocausto?” ha affermato Abi-Rached verso la fine del suo discorso, intervenendo on-line da Parigi. “Come si spiega la rimozione della tragica situazione dei palestinesi dalle pagine della rivista? Cosa intendiamo per le caratteristiche delle politiche della salute se ignoriamo proprio la condizione, la salute e il benessere delle popolazioni emarginate e vulnerabili?”
Abi-Rached, recentemente fuggita dalla campagna di bombardamenti israeliana in Libano, dove è cresciuta e ha insegnato, ha chiesto perché la rivista non avesse ancora pubblicato alcun articolo sui palestinesi e Gaza.
Durante il suo discorso Abi-Rached ha ammonito che la distruzione a Gaza è parte di “una significativa erosione” delle leggi e del quadro umanitario internazionale nati dalla seconda guerra mondiale e dopo le atrocità dell’Olocausto. Ha poi osservato che nessuno dovrebbe sorprendersi che il suo articolo con Brandt, pubblicato durante la guerra a Gaza, abbia “suscitato reazioni così forti tra medici, esperti di sanità pubblica e altro personale sanitario, e il grande pubblico, che è rimasto giustamente sconvolto dal silenzio della rivista riguardo alla sofferenza dei palestinesi”.
Ha affermato che è compito degli storici, delle riviste mediche e delle università parlare e sollevare tali questioni per fare i conti sia con il passato che con il presente, riferendosi alla guerra di Israele a Gaza come “la crisi morale più allucinante del nostro tempo”.
“Quello che sta accadendo oggi a Gaza è senza precedenti. Supera di gran lunga le violazioni della imparzialità medica viste in El Salvador, Cile, Nicaragua, Guatemala, Siria, Sudan o Ucraina”, ha continuato Abi-Rached. “Stiamo assistendo oggi allo stesso deliberato e sistematico attacco contro il personale sanitario, non solo a Gaza, ma anche in Libano, dove il conflitto si è trasferito estendendosi”. (il termine “imparzialità medica” si riferisce al principio di salvaguardare l’accesso alle cure mediche in tempo di guerra).
Le osservazioni di Abi-Rached giungono in un momento in cui molti nella comunità medica stanno denunciando apertamente le atrocità commesse dall’esercito israeliano, in gran parte indotti dall’impegno di operatori sanitari che nel corso dell’ultimo anno si sono presi cura di pazienti all’interno degli ospedali di Gaza.
Più di recente Feroze Sidhwa, un chirurgo che ha lavorato all’ospedale europeo di Khan Younis, a Gaza, per due settimane tra marzo e aprile, ha scritto un editoriale per il New York Times basato sulle osservazioni di 65 medici, infermieri e paramedici che si sono occupati di pazienti durante la guerra. I medici hanno fornito immagini radiografiche che mostravano proiettili conficcati nei crani e nelle vertebre dei pazienti. Molti hanno riferito di aver curato molti bambini, spesso sotto i 12 anni, colpiti alla testa o al torace. Dei detrattori pro-Israele hanno respinto le prove come “modificate digitalmente o completamente falsificate” e il Times ha preso l’insolita decisione di pubblicare una nota in cui confermava [la veridicità del] l’articolo dopo aver svolto “ulteriori indagini di revisione sulle nostre precedenti risultanze”.
Durante la guerra a Gaza, l’esercito israeliano ha preso di mira gli ospedali con ripetuti attacchi aerei e operazioni di terra. All’inizio di questa settimana, lo studente palestinese diciannovenne Shaban al-Dalou è stato visto bruciare vivo mentre era collegato a una flebo dopo che un attacco aereo israeliano contro l’ospedale di Al-Aqsa ha incendiato le tende di centinaia di sfollati che vi si erano rifugiati.
Negli ultimi 12 mesi più di 800 operatori sanitari sono stati uccisi a Gaza e la maggior parte dei suoi ospedali sono stati distrutti dagli attacchi israeliani o fanno fatica a funzionare per la mancanza di risorse dovuta al blocco in corso delle forniture mediche.
In Libano, dove Israele ha recentemente intensificato i suoi attacchi con intensi bombardamenti e attacchi aerei su vasta scala, nelle ultime settimane circa metà dei suoi centri medici e cliniche sono stati chiusi a causa di danni strutturali o della loro vicinanza ai bombardamenti.
L’articolo di Abi-Rached E Brandt, “Nazism and the Journal”, ha ricevuto ampia attenzione dopo la sua pubblicazione a marzo, inclusa una copertura da parte del New York Times. Anche all’epoca l’assenza [sul New England Journal of Medicine] di un articolo sulla guerra di Israele a Gaza e la sua incapacità di tracciare linee di connessione tra l’Olocausto e quello che esperti hanno definito un genocidio in corso dei palestinesi hanno generato una protesta da parte di altri professionisti nel campo medico.
Mercoledì, dopo il discorso di Abi-Rached, nella sala conferenze della Countway Library della scuola sono scoppiati applausi tra la folla da parte di diverse decine di persone.
Eric Rubin, caporedattore del New England Journal of Medicine, ha risposto alle osservazioni di Abi-Rached riconoscendo che la rivista non ha ancora pubblicato alcun lavoro su Gaza. “Non significa che non pubblicheremo su Gaza”, ha detto, aggiungendo di essere aperto all’idea. Tuttavia, ha detto che è stato difficile trovare una voce unica sull’argomento.
“Secondo me, non basta dire ‘Gli attacchi agli ospedali sono malvagi’. È stato detto ovunque, non siamo gli unici a dirlo. Non basta dire che la imparzialità medica è un valore importante”, ha detto Rubin. “Quindi cosa possiamo dire che possa cambiare il modo di pensare delle persone?”
“E non sono sicuro di quale possa essere, ma ci piacerebbe essere in grado di creare una prospettiva unica”, ha aggiunto. “Non credo che l’abbiamo ancora trovata e penso che sia quello che stiamo cercando”.
Ha anche riconosciuto la portata del dissenso. Dopo la pubblicazione del numero sulle ingiustizie storiche, che includeva l’articolo di Abi-Rached e Brandt, un certo numero di lettori ha annullato i propri abbonamenti per protesta, ha detto Rubin. Gaza è ancora più spinosa, ha detto.
“Abbiamo sentito che nella sala esistono fondate controversie che non sono così nette“, ha detto Rubin, riferendosi a una domanda precedente di un partecipante.
Prima che Rubin prendesse la parola un partecipante, che ha detto che la sua famiglia vive in Israele dalla sua creazione nel 1948 e la cui figlia ha perso un’amica durante gli attacchi del 7 ottobre, ha sostenuto che l’imparzialità medica è stata “distrutta da entrambe le parti” e ha sottolineato il rifiuto di Hamas verso servizi medici forniti dalla Croce Rossa, come richiesto dal diritto internazionale. Ha anche menzionato l’accusa secondo cui Hamas usa gli ospedali “come copertura per attività militari”. Funzionari israeliani e statunitensi spesso affermano che Hamas usa gli ospedali e altre infrastrutture civili come scudo, ma le affermazioni si sono dimostrate esagerate o infondate.
Il partecipante si è identificato come co-presidente del Jewish Employee Resource Group [Organizzazione di sostegno ai dipendenti ebrei, ndt.] presso il Mass General Brigham [sistema sanitario integrato senza scopo di lucro impegnato nella ricerca medica, insegnamento e cura dei pazienti negli USA, ndt.] e ha aggiunto che un sondaggio condotto tra il personale ebreo dell’ospedale ha mostrato che un quarto di loro ha paura di lavorare in ospedale e più di due terzi “si sentono incapaci di dichiarare completamente la propria identità nel contesto lavorativo“.
“In entrambi i contesti vorremmo che ci fosse imparzialità in merito, in modo che il personale ebraico non provasse tali sentimenti, e allo stesso modo, nel contesto del conflitto bellico, le strutture sanitarie e l’assistenza sanitaria fossero considerate uno spazio neutrale da tutte le parti”, ha affermato.
Brandt, coautore insieme a Abi-Rached, ha risposto deplorando quella che considera l’erosione delle Convenzioni di Ginevra attraverso i vari conflitti in tutto il mondo e ha parlato della necessità di ripristinare la fiducia in tali norme istituzionali.
Abi-Rached ha poi respinto l’argomento “entrambe le parti” del partecipante, sostenendo che la sua logica è “un po’ pericolosa”.
“Si dovrebbe ricordare” che l’idea che “il solo fatto che combattenti o militanti vengano curati in ospedale sia una giustificazione o un pretesto sufficiente per bombardarlo, e così facendo causare ancora più danni, è esattamente ciò che i fascisti hanno storicamente usato come scusa“, ha detto, facendo riferimento a una citazione del dittatore italiano Benito Mussolini che giustificava la sua campagna di bombardamenti sugli ospedali etiopi negli anni ’30.
Abi-Rached aveva già fatto riferimento agli effetti delle guerre di Israele sul sistema sanitario in Libano in un articolo del Boston Review pubblicato all’inizio di questo mese. Nell’articolo ha descritto i momenti in cui decine di pazienti si sono riversati nell’ospedale di Beirut in cui lavorava in seguito agli attentati israeliani attraverso le esplosioni dei cercapersone.
“Siamo diventati oggetto di una macabra sperimentazione”, ha scritto. “Nuove armi vengono testate, studiate e perfezionate su vite considerate sacrificabili, con l’approvazione delle più potenti democrazie occidentali”.
“La guerra in corso fa parte dell’espansione di Eretz Israel [Grande Israele, la biblica “terra promessa”, ndt.], con sempre più colonie illegali, guidata dal messianismo del governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu?” ha continuato Abi-Rached. “Potrebbe essere spiegato dal trauma duraturo dell’Olocausto che persiste ancora generazioni dopo, con un inquietante trasferimento dell’odio per i nazisti sugli “arabi” che in primo luogo non hanno avuto nulla a che fare con l’Olocausto?”
Jonah Valdez
Jonah Valdez è un reporter di The Intercept che si occupa di politica, politica estera degli Stati Uniti, Israele e Palestina, questioni relative ai diritti umani e ai movimenti di protesta per la giustizia sociale.
In precedenza è stato redattore del Los Angeles Times, dove è entrato a far parte del giornale come membro inaugurale della L.A. Times Fellowship. Per il Times, Valdez ha scritto articoli su giustizia ambientale, gentrificazione, trasporti, lavoro, cultura pop e l’industria di Hollywood. Valdez ha iniziato a occuparsi di notizie locali per il Southern California News Group. I suoi lavori si possono trovare anche su The Guardian, Voice of San Diego e San Diego-Union Tribune. È cresciuto a San Diego e ora risiede a Los Angeles, dove scrive anche poesie e sta lavorando alla sua prima raccolta.
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)