Villaggio vacanze israeliano a Gaza: la grottesca realtà dietro il genocidio

Il resort israeliano accanto al campo profughi di Jabalia distrutto dall'esercito Foto : Screenshot Ynet.
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Jeremy Salt

1 gennaio 2025Palestine Chronicle

Le recenti azioni di Israele a Gaza, dal costruire un villaggio vacanze per i suoi soldati alla distruzione di ospedali, evidenziano una grottesca disconnessione dalle sofferenze umane.

La vera notizia del giorno non è che l’esercito israeliano ha costruito un villaggio vacanze per soldati stanchi sulla costa di Gaza, non lontano da Jabaliya che quegli stessi soldati hanno metodicamente distrutto negli ultimi tre mesi.

Il villaggio è solo un mostruoso memento di quanto lo Stato di Israele e la maggioranza del suo popolo si sono allontanati dalla normale umanità.

La vera notizia è l’uccisione di altri palestinesi, la distruzione definitiva dell’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia, l’assassinio o il rapimento del personale e dei pazienti e lo spostamento di feriti gravi in altri ospedali che persino i principali media ammettono che non sono più operativi.

Il personale medico è stato portato verso una destinazione sconosciuta, forse la prigione Sde Teiman dove è stato assassinato uno degli altri medici rapiti, il dr. Adnan al Bursh, chirurgo ortopedico, laureato al King’s College. Secondo Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati, è stato stuprato a morte.

L’eroismo dei palestinesi è sintetizzato dal dr. Hussam Abu Safiya, il direttore dell’ospedale Kamal Adwan, che è stato picchiato con manganelli e bastoni mentre veniva trascinato via.

Il figlio del dr. Abu Safiya, Ibrahim, era stato ucciso dagli israeliani a ottobre. Il dr. Abu Safiya era stato ferito nel corso di un attacco di droni, ma è rimasto fino alla fine con il suo personale e i suoi pazienti. Non si sa dove sia ma ovviamente la sua vita è in pericolo perché potrebbe fare la stessa fine di Adnan al Bursh.

Nel villaggio vacanze israeliano per soldati stressati per colazione ci sono caffé freddo, toast, bibite a vari gusti e frappè. Alla colazione seguono pranzi e cene preparati alla griglia e poi al bar si servono caffè con cialde belghe, pretzel freschi e meringhe.

Ci sono sale massaggio per corpi stanchi e cliniche mobili per controlli medici e dentistici. Ci sono docce, internet, popcorn, caramelle e acqua fresca a volontà, comode poltrone a sacco per poltrire, PlayStation per divertirsi e frutta e gelati per “quando fa caldo.”

Tel Aviv dista da Gaza meno di 80 chilometri. Le stesse delizie sono disponibili a Tel Aviv giorno e notte, ma da Tel Aviv non si può vedere la distruzione e non si possono sentire le urla dei feriti e dei moribondi.

Il villaggio vacanze è vicino a Jabaliya, che i soldati che si prendono una pausa per rimettersi in sesto dai loro gravosi doveri hanno passato gli ultimi tre mesi a distruggere. Due giorni dopo Natale hanno invaso l’ospedale Kamal Adwan, distruggendone i reparti specialistici, assassinando 5 operatori sanitari, portando via gli altri con addosso solo la biancheria intima e spostando 350 persone al gelo. Cinquanta persone che vi si erano rifugiate sono state ammazzate in un attacco aereo contro un edificio nell’area dell’ospedale.

Il giornalista Gideon Levy ha paragonato questo resort a ‘La Zona di Interesse’, film di Jonathan Glazer sulla vita che conducevano, appena oltre il muro del campo di concentramento di Auschwitz, il suo comandante Rudolf Hoss, sua moglie e i loro figli. Si potevano sentire urla e colpi di armi da fuoco in lontananza e l’arrivo dei treni mentre i bambini giocavano in giardino e la moglie si prendeva cura delle piante e chiacchierava con gli ospiti. Lo scenario è idilliaco, i bambini passano giorni fantastici.

Non lontano dal villaggio vacanze di Gaza per soldati israeliani, non lontano dalle loro colazioni, grigliate e meringhe servite con il caffè, tutto come in un hotel di lusso, i bambini muoiono di freddo e fame, sono uccisi da cecchini e fatti a pezzi da missili e proiettili dei carri armati.

Da tempo Gaza è diventata una riserva di caccia di esseri umani, con i soldati israeliani che accumulano le loro prede e ora possono andare nel loro villaggio per riprendersi dallo stress con un bel massaggio o rilassandosi su una poltrona a sacco.

Israele sta celebrando un anno di una sfilza di ‘vittorie’, come chiama il genocidio a Gaza, e l’uccisione di migliaia di civili in Libano. Ha sfruttato la crisi in Siria per impossessarsi di ulteriori territori siriani, sta lanciando attacchi missilistici contro lo Yemen e si sta preparando per un attacco contro l’Iran.

Netanyahu sta dando vita a un mondo immaginario come fosse un guerriero ebreo per essere annoverato tra migliori fra loro, mentre la storia lo ricorderà come un abbietto criminale di guerra e il vigliacco assassino di massa di donne e bambini.

C’è la causa e c’è la battaglia. La Palestina è la causa e Israele non la distruggerà mai. Gaza è la battaglia eppure Israele, con tutta la sua potenza armata, non è riuscito a sconfiggere Hamas neanche dopo 15 mesi. L’altra battaglia persa, totalmente e decisamente, è quella contro l’opinione pubblica globale. Questo è un terreno che non riguadagnerà mai più, indipendentemente da quanto a lungo riuscirà a mantenere la sua stretta sulla Palestina.

Anche se Hamas non fosse in grado di sparare un altro colpo, la causa continuerà fino alle nuove generazioni. I giovani palestinesi che sono sopravvissuti a Gaza e i loro discendenti non produrranno un altro Arafat o un odiato Mahmoud Abbas. Non si perderà altro tempo in un altro ‘processo di pace’ allestito come una trappola mortale. Il modello per le generazioni future sarà Yahya Sinwar e il loro slogan sarà la riedizione del vecchio, ‘ciò che è stato preso con la forza può solo essere ripreso con la forza.’ [frase di Gamal Abdel Nasser Hussein, presidente dell’Egitto, ndt.]

Il mondo non può più permettersi uno Stato come Israele, come non poteva permettersi una Germania nazista, una lezione che ha imparato troppo tardi. La furia illegale di Israele nella storia sta nella stessa categoria e, come negli anni ’30, sembra che almeno il mondo occidentale imparerà la lezione troppo tardi.

Ehud Barak, l’ex primo ministro israeliano, una volta disse che Israele era la villa nella giungla. Ovviamente Israele non è una villa, ma uno Stato d’apartheid genocida. La ‘giungla’ è quella che ha creato e la ‘legge della giungla, ’ non quella dell’umanità, è quella che Israele ha scelto di seguire.

La ‘villa’ è il villaggio vacanze costruito a Gaza e la giungla è l’apocalisse che i soldati israeliani hanno creato poco lontano. I bambini muoiono di fame e freddo mentre loro mangiano cialde belghe.

Questo esempio attuale della ‘banalità del male’ di Hannah Arendt è una replica della trama de ‘La zona di Interesse’, con Rudolf Hoss che osserva dalla finestra della sua villa i figli che giocano in giardino e la moglie che raccoglie fiori mentre appena oltre il muro gli internati del campo sono sterminati.

Nel discorso di accettazione agli Academy Award per la vittoria del suo film il regista ha detto che nel girare ‘La zona di interesse’ “tutte le nostre scelte sono state fatte per riflettere e confrontarci con il presente, non per dire ‘guarda quello che hanno fatto allora’, ma ‘guarda quello che noi facciamo oggi.’ Aveva in mente Gaza come esempio presente per far vedere ‘dove conduce la disumanizzazione al suo peggio.’

Rudolf Hoss fu impiccato per i suoi crimini. Contro Netanyahu la Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità eppure quando nel luglio 2024 ha parlato davanti al Congresso USA è stato interrotto dagli applausi quasi ogni minuto e ci sono state parecchie standing ovation, che è sicuramente come Hoss sarebbe stato accolto se avesse parlato a un raduno del partito nazista.

Dietro le fantasie dell’‘unica democrazia del Medio Oriente’ e dell’‘esercito più etico del mondo’, l’Occidente ha umanizzato l’inumano per decenni. Mai chiamato a rendere conto dei propri crimini, Israele è stato libero di continuare a commetterli, al punto di buttare in faccia al mondo un genocidio, sicuro che se la sarebbe cavata anche per questo e, protetto dagli USA, forse se la caverà. Quello che si vede dietro una facciata morale crollata è l’evidenza di ‘dove porta la disumanizzazione nel peggiore dei casi’.

Si stima che, come se avessero colto dei segnali premonitori, dal 7 ottobre 2023 un milione di israeliani abbia lasciato il Paese. Molti probabilmente non ritorneranno, dato che nessuna persona ‘normale’ vorrebbe vivere in un ambiente di conflitto permanente, rischiando la vita propria e quella delle proprie famiglie.

Si stanno allontanando da una popolazione che vuole sradicare il nemico completamente e impossessarsi delle sue terre. Non importano i mezzi: massacri, cecchini, attacchi missilistici, bombardamento di ospedali, bruciare vivi donne e bambini e lo stupro dei prigionieri nelle galere israeliane da parte dei soldati; importa solo il risultato finale.

Una società simile è ‘normale’ solo se le stesse opinioni sono condivise da quasi tutti. Questa è la ‘normalità’ di gente completamente indottrinata che è continuamente istigata da violenti fanatici razzisti che siedono nella Knesset e detengono posizioni cruciali nel governo israeliano.

Coloro che non sono nella norma in questo contesto, disgustati dai crimini commessi a loro nome, hanno tratto la conclusione di non avere posto né futuro per sé stessi e le proprie famiglie in Israele.

Mentre aumenta il flusso dell’emigrazione, Israele, in guerra al suo interno e minacciato dall’esterno, si ridurrà ancor di più a una fortezza teocratica e fascista, un’altra Masada, disprezzata dal mondo e condannata a crollare.

Questo è ciò che sembra riservare il futuro, a meno di qualche drammatico capovolgimento interno della direzione presa da Israele per decenni e di cui al momento non c’è traccia.

Anzi, i ‘successi’ dell’ultimo anno hanno convinto la cricca al governo che la vittoria totale su tutti i nemici di Israele è a portata di mano.

Va tuttavia detto che gli USA, partner nei crimini di Israele, possono cambiare prospettiva qualora lo vogliano. Alla fine potrebbero perdere la pazienza con Israele, ma questo succederà quando e se Israele non servisse più ai loro interessi strategici.

Jeremy Salt ha insegnato per molti anni all’Università di Melbourne, alla Bosporus University di Istanbul e alla Bilkent University di Ankara, specializzandosi in storia moderna del Medio Oriente. Tra le sue recenti pubblicazioni c’è il suo libro del 2008, The Unmaking of the Middle East. A History of Western Disorder in Arab Lands (University of California Press) [La disfatta del Medio Oriente. Due secoli di interventi occidentali nei paesi islamici, Elliot, 2009] e The Last Ottoman Wars. The Human Cost 1877-1923 (University of Utah Press, 2019).

Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)