14 gennaio 2025 – Haaretz
Gli ostaggi sofferenti lasciati a marcire nei tunnel per 15 mesi e gli oltre 120 soldati uccisi da quando Benjamin Netanyahu ha rifiutato un accordo precedente con Hamas su cessate il fuoco e ostaggi sono l’ultima delle preoccupazioni del primo ministro israeliano che voleva essere messo sotto pressione proprio a ridosso dell’insediamento di Trump.
Se il 20° Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, ratificato il 23 gennaio 1933, avesse stabilito che le investiture presidenziali si sarebbero dovute svolgere il 10 e non il 20 gennaio i cinque soldati israeliani uccisi a Gaza lunedì probabilmente sarebbero ancora vivi, le loro famiglie non sarebbero state distrutte, un accordo sugli ostaggi sarebbe già iniziato e sarebbero state risparmiate decine di vite di gazawi. È così: semplice, spaventoso, tragico e crudele.
Il Primo ministro Benjamin Netanyahu può lamentarsi quanto vuole di come Donald Trump, neoeletto presidente degli Stati Uniti, lo abbia costretto a farlo. Sta già vendendo ai suoi partner di coalizione ultranazionalisti, messianici e guerrafondai il messaggio: “Non avevo scelta, siamo riusciti a rimandarlo per mesi”. Ma la verità è molto chiara: ha accettato un accordo che avrebbe potuto e dovuto firmare molti mesi fa. Ma gli ostaggi che marciscono nei tunnel senza ossigeno da 15 mesi e gli oltre 120 soldati israeliani uccisi da quando ha rifiutato un accordo precedente sono l’ultima delle sue preoccupazioni. Ecco chi e cosa è.
Qualcuno crede davvero che il nuovo inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, un esperto immobiliarista e investitore di New York, abbia “costretto Netanyahu a farlo”? Beh, sì, se conosci Netanyahu. Voleva essere messo sotto pressione proprio a ridosso dell’insediamento di Trump lunedì prossimo. L’accordo che potrebbe essere concordato e firmato martedì o mercoledì, o forse no, era sul tavolo lo scorso maggio, a luglio e praticamente ci è rimasto da allora in poi. Ma Netanyahu, in nome di “una guerra esistenziale” che produrrà una “vittoria totale”, ha aspettato le elezioni americane e poi l’insediamento del presidente prima di accettare un accordo.
Spiegando perché si oppone all’accordo, Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale, di estrema destra, ha ricordato specificamente come in passato abbia impedito un accordo minacciando Netanyahu, convalidando l’affermazione che tutto il calcolo del primo ministro sia motivato politicamente. Non ha mai avuto intenzione di porre fine alla guerra, persino quando il poi dimissionario ministro della Difesa Yoav Gallant e l’esercito israeliano hanno sottolineato che tutti gli obiettivi militari erano stati raggiunti. L’“importanza strategica” del corridoio Philadelphia, lungo il confine tra Gaza e Sinai, era un’argomentazione fasulla e cinica che aveva architettato nel frattempo.
Ci sono due linee di faglia cronologiche. La prima va dall’ottobre 2023 al luglio 2024, quando Netanyahu credeva che più fosse durata la guerra, più Gaza fosse stata decimata, più lui si sarebbe allontanato dalla débâcle del 7 ottobre, il giorno peggiore della storia di Israele.
Il secondo periodo va dal luglio 2024, quando Biden ha ritirato la sua candidatura alla presidenza, alle elezioni di novembre e da lì all’insediamento di Trump lunedì prossimo.
Una guerra che non ha obiettivi politici, in cui gli obiettivi militari non derivano e non sono allineati con chiari obiettivi politici, è una guerra che finirà inevitabilmente senza risultati politici. I risultati militari, per quanto significativi, non possono in questo caso essere convertiti in guadagni politici.
Una guerra giusta, e non ci sono dubbi sul fatto che la guerra a Gaza fosse giustificata secondo qualsiasi criterio, non giustifica l’avventatezza e la sprovvedutezza diplomatica, a meno che alla base non ci siano un secondo fine e un programma politico.
Netanyahu ha prima ignorato, poi temporeggiato, poi respinto e infine rifiutato di prendere in considerazione qualsiasi quadro di “Gaza postbellica” che l’amministrazione Biden gli aveva presentato nel dicembre 2023. L’idea stessa di cacciare Hamas dal potere a Gaza e di sostituirlo con una coalizione araba ad interim, un progetto su cui Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania e Autorità Palestinese erano tutti d’accordo, è stata rifiutata con derisione da Netanyahu, che ha dichiarato “non prima della vittoria totale e dello sradicamento di Hamas”.
Nonostante il sostanziale indebolimento militare di Hamas e la decimazione della maggior parte di Gaza, questo accordo segna la “vittoria totale” o la “cancellazione di Hamas”? No. Sarebbero mai state raggiungibili senza un’occupazione totale e prolungata dell’intera Striscia di Gaza? No.
Per tutta la prima metà del 2024, Netanyahu ha deliberatamente cercato un confronto aperto con la Casa Bianca. “Gli Stati Uniti stanno cercando di imporre a Israele uno Stato palestinese,” si lamentava in maniera bigotta e fasulla, senza alcun fondamento. Nel maggio del 2024 aveva rinnegato e disconosciuto un piano che lui stesso aveva presentato a Biden. In quei mesi l’accordo su ostaggi e cessate il fuoco che potrebbe concretizzarsi nei prossimi giorni era già sul tavolo.
Per otto mesi interi questo accordo è stato presentato più volte dal Qatar e dagli Stati Uniti. Ma Netanyahu aveva in mente solo la politica e la sua sopravvivenza, e poi le elezioni americane e l’insediamento di Trump.
Tale livello di insensibilità, crudeltà, disprezzo per gli ostaggi e indifferenza nei confronti delle loro famiglie traumatizzate, che ha persino incolpato di averlo indebolito, e la pura incoscienza nel portare avanti una guerra senza obiettivi definiti, tangibili e raggiungibili è sconcertante anche per gli standard di Netanyahu. Un anno fa nemmeno i suoi critici più duri e i suoi detrattori più accaniti pensavano che si sarebbe arrivati a questo punto.
Viste le alternative per quanto riguarda l’accordo in sé, si tratta di un buon accordo. A prescindere dalle riserve o dalle osservazioni che si possono avere, un accordo è un accordo e gli ostaggi torneranno a casa.
Supponiamo che ci sia un accordo reciprocamente concordato e che il testo corrisponda esattamente allo schema generale rivelato lunedì sera: un processo a fasi di 42 giorni che inizia con un cessate il fuoco, o almeno con una cessazione condizionata delle ostilità; 33 ostaggi israeliani da rilasciare in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi (molti dei quali sono terroristi condannati) entro i primi 16 giorni. A quel punto inizieranno i negoziati per la seconda fase e, se questa sequenza sarà completata, Israele avvierà un ritiro graduale da Gaza, mantenendo però una limitata zona cuscinetto di sicurezza. Nel frattempo ai gazawi sarà permesso di tornare in quel poco che resta della parte settentrionale di Gaza. (Dall’inizio della guerra circa un milione sono fuggiti dal nord verso la parte meridionale della Striscia). Martedì il Segretario di Stato americano Antony Blinken dovrebbe illustrare un quadro politico postbellico molto simile a quello presentato da Biden e rifiutato da Netanyahu tra dicembre 2023 e metà 2024.
Ora arrivano le domande. Il cessate il fuoco reggerà? Hamas riuscirà a farlo rispettare? Che cosa costituisce una flagrante violazione del cessate il fuoco? L’accordo continuerà se ci saranno sporadici combattimenti locali tra piccole bande isolate che non rispondono ad Hamas? Cosa succede se Hamas sventola le bandiere e dichiara vittoria?
Si tratta di un accordo straordinariamente debole, considerando ciò che è Hamas e i precedenti di Netanyahu. Non sorprenderebbe nessuno se Netanyahu dicesse ai suoi ministri riluttanti e imbronciati: “Non preoccupatevi, il cessate il fuoco non reggerà”. Per quanto lo riguarda questo potrebbe proteggerlo sia dalle turbolenze politiche che da Donald Trump”.
(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)
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Nota redazionale: nel presente articolo vengono fatte alcune affermazioni riguardanti la guerra a Gaza che la redazione di Zeitun non condivide. Alon Pinkas, diplomatico ed esperto di politica estera legato al partito Laburista israeliano, definisce indubbiamente “giusta” una guerra e nel suo editoriale cita esclusivamente i soldati e gli ostaggi israeliani uccisi a Gaza da maggio in poi (quando Netanyahu rifiutò un accordo proposto da Biden e molto simile a quello che ha accettato ora), ignorando totalmente le migliaia di civili palestinesi uccisi (almeno 10.000) da allora.
Ciononostante riteniamo questo articolo interessante per il lettore in quanto propone un punto di vista molto diffuso nell’opinione pubblica israeliana e pubblicato su Haaretz, un giornale molto critico nei confronti dell’attuale governo.