Ramzy Baroud
4 marzo 2025 – Middle East Monitor
Il diritto internazionale sta lottando per difendere la propria rilevanza. L’esito di questa lotta è probabilmente destinato a cambiare le dinamiche politiche del mondo intero, dinamiche che erano state plasmate dalla Seconda guerra mondiale e sostenute per mezzo di un’interpretazione selettiva del diritto da parte delle nazioni egemoni.
In linea di principio, il diritto internazionale avrebbe dovuto essere sempre rilevante, se non determinante, nel regolare le relazioni tra tutti i paesi, grandi e piccoli, per risolvere i conflitti prima che si trasformassero in vere e proprie guerre. Avrebbe anche dovuto adoperarsi per scongiurare il ritorno a un’epoca di sfruttamento che ha permesso al colonialismo occidentale di ridurre di fatto in schiavitù il Sud globale per centinaia di anni.
Sfortunatamente il diritto internazionale, che in teoria avrebbe dovuto rispecchiare il consenso globale, a stento si è occupato di pace o autenticamente impegnato nella decolonizzazione del Sud.
Dall’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan alla guerra contro la Libia e molti altri esempi, passati e presenti, le Nazioni Unite spesso sono state usate dai forti come strumento per imporre la loro volontà ai deboli. E ogni volta che i paesi più piccoli hanno reagito collettivamente, come spesso fa l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quelli che sono più potenti sul piano militare ed economico e detengono il potere di veto al Consiglio di Sicurezza hanno usato il loro potere per costringere gli altri sulla base della massima “might is right” [il diritto del più forte].
Non dovrebbe perciò stupire che molti intellettuali e politici del sud globale sostengano che il diritto internazionale è sempre stato irrilevante per la pace, i diritti umani e la giustizia, se non per professarne vanamente i valori.
Questa irrilevanza è stata messa pienamente in luce nei 15 mesi di ininterrotto genocidio israeliano contro i palestinesi a Gaza che ha ucciso e ferito più di 160.000 persone, un numero che secondo i molti autorevoli studi e riviste di medicina è destinato ad aumentare drasticamente.
Eppure, quando il 26 gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia ha aperto un’indagine per “plausibile genocidio” a Gaza e ha in seguito emesso il 19 luglio una risoluta sentenza in merito all’illegalità dell’occupazione israeliana della Palestina, il sistema internazionale ha dato un segno di vita, per quanto flebile. I mandati di arresto emanati a novembre dalla Corte Penale Internazionale contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex-Ministro della Difesa Yoav Gallant hanno rappresentato un’ulteriore prova del fatto che le istituzioni legali internazionali, ancorché al servizio degli interessi occidentali, possono cambiare.
Washington si è opposta per molti anni alla giustizia internazionale. Sotto la presidenza di George W. Bush il parlamento statunitense ha approvato una legge che già dal 2002 protegge i soldati americani “dai procedimenti penali” della Corte Penale Internazionale, di cui gli Stati Uniti non fanno parte. La cosiddetta Legge sull’Invasione de L’Aia ha autorizzato l’uso della forza militare per salvare cittadini americani o personale militare arrestato dalla Corte Penale Internazionale.
Naturalmente molte delle misure adottate da Washington per mettere sotto pressione, minacciare o punire le istituzioni internazionali sono state collegate alla protezione di Israele sotto varie forme. Il clamore e le richieste di giustizia che il genocidio israeliano a Gaza ha destato in tutto il mondo hanno tuttavia messo nuovamente sulla difensiva i governi occidentali. Israele sta affrontando per la prima volta un giudizio severo, che ne ha fatto sotto molti aspetti uno Stato paria.
Invece di ripensare il loro rapporto con Israele e astenersi dall’alimentare la macchina della guerra, molti governi occidentali si sono scagliati contro la società civile per il solo fatto di aver chiesto l’applicazione del diritto internazionale.
Il 18 febbraio la polizia tedesca ha fatto irruzione nella sede del Junge Welt [storico quotidiano tedesco di orientamento marxista, ndt.] a Berlino come se stessero per acciuffare un pericoloso criminale. Hanno circondato l’edificio, armati fino ai denti, dando luogo a una sceneggiata che non avrebbe mai dovuto verificarsi in un paese che si considera democratico. La ragione per questo dispiegamento di forze era nientemeno che Francesca Albanese, avvocata italiana e dichiarata detrattrice del genocidio israeliano a Gaza.
Albanese è attualmente anche Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Se non fosse per l’intervento delle Nazioni Unite, avrebbe potuto essere arrestata semplicemente per aver chiesto che Israele sia chiamato a rispondere dei suoi crimini contro i palestinesi.
Ma la Germania non è un’eccezione. Altre potenze occidentali, sotto la guida degli Stati Uniti, partecipano di questa crisi morale. Washington ha intrapreso azioni gravi e preoccupanti non solo per sottrarre Israele e sé stessa alla responsabilità di fronte al diritto internazionale, ma anche per punire le stesse istituzioni internazionali, giudici e funzionari, per aver osato mettere in discussione il comportamento di Israele.
Lo scorso 13 febbraio infatti gli Stati Uniti hanno sanzionato il procuratore capo della Corte Penale Internazionale per le sue posizioni su Israele. Dopo qualche esitazione Karim Khan aveva fatto ciò che nessun altro procuratore della Corte Penale Internazionale aveva fatto prima, ovvero emettere mandati di cattura per Netanyahu e Gallant, i quali sono attualmente ricercati per “crimini contro l’umanità e crimini di guerra”.
La crisi morale si è aggravata quando i giudici sono diventati gli accusati, come è accaduto allo stesso Khan quando è stato fatto oggetto, oltre alle sanzioni americane, di innumerevoli attacchi e oltraggi da parte dei media occidentali.
C’è una possibilità di correggere il sistema politico e legale internazionale sulla base di nuovi standard: una giustizia e una responsabilità che si applichino a tutti e cui tutti siano ugualmente tenuti.
Chi si ostina a sostenere Israele ha di fatto rinnegato il diritto internazionale nel suo insieme. Le conseguenze di questa decisione sono terribili. Ma per il resto dell’umanità la guerra di Gaza può suscitare una presa di coscienza globale e costituire un’occasione per ricostruire un mondo più equo, che non sia plasmato da chi detiene la maggiore potenza militare ma dal bisogno di fermare l’insensata uccisione di bambini, donne e anziani innocenti.
(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)