Il cessate il fuoco a Gaza è instabile e un’altra guerra potrebbe arrivare presto

Adnan Abu Amer
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Adnan Abu Amer

25 luglio 2021 – Al Jazeera

Il persistere della violenza contro i palestinesi a Gerusalemme e il desiderio israeliano di rivincita potrebbero riaccendere le ostilità.

A maggio, non appena sono terminati gli 11 giorni della guerra israeliana contro Gaza, in Israele e nella Striscia sono iniziati i preparativi per un nuovo scontro. Era chiaro fin dall’inizio che il cessate il fuoco mediato dall’Egitto era fragile e sarebbe potuto non durare a lungo. La tregua temporanea è stata conclusa sotto la pressione degli Stati Uniti, ma non ha risolto le principali questioni che hanno scatenato lo scontro tra le due parti. Di conseguenza, il conflitto tra Israele e Hamas potrebbe facilmente riaccendersi nel prossimo futuro.

Dal punto di vista palestinese, gli sponsor del cessate il fuoco non hanno fatto nulla per fermare l’aggressione israeliana a Gerusalemme e nella moschea di Al-Aqsa che ha provocato la rabbia dei palestinesi e alla fine ha portato Hamas a lanciare razzi il 10 maggio. Sono continuate le espulsioni forzate e le demolizioni di case palestinesi nella Gerusalemme occupata, così come le irruzioni dei coloni israeliani sotto la protezione della sicurezza israeliana nel complesso della moschea di Al-Aqsa.

Nonostante le pressioni internazionali sul governo israeliano per fermare questi raid nel terzo luogo più sacro dell’Islam, quest’ultimo ha continuato a consentirli. Una delle ragioni principali di ciò è la sua stessa fragilità. Il nuovo governo israeliano è una coalizione instabile di forze politiche molto diverse tra loro che è ora soggetta a feroci attacchi politici da parte dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu dopo la sua cacciata dal potere. Di fronte alle accuse di essere “di sinistra”, il primo ministro Naftali Bennett è intenzionato a dimostrare le sue credenziali di destra e non rischierebbe di far arrabbiare la comunità dei coloni o l’estrema destra israeliana interrompendo i raid contro Al-Aqsa

Lo stesso vale per le espulsioni forzate dei palestinesi dalle loro case nella Gerusalemme occupata. La pulizia etnica della città dalla sua popolazione palestinese per renderla esclusivamente ebraica è stata per decenni una priorità assoluta per l’estrema destra israeliana. Bennett probabilmente teme che porre fine a questi crimini destabilizzerebbe la sua coalizione. Se non affrontate, questa continua violenza contro i palestinesi e la violazione della sacralità di Al-Aqsa potrebbero benissimo innescare un altro conflitto.

Dal punto di vista israeliano, l’emergere di Hamas come parte vittoriosa della guerra degli 11 giorni è stato difficile da digerire. I razzi di Hamas lanciati contro Israele sono stati accolti con favore dai palestinesi in tutta la Palestina storica, non solo a Gaza, e hanno aumentato il sostegno al movimento. Ciò ha causato molta frustrazione nei ranghi dell’esercito israeliano ed è probabile che la sua leadership spingerà per avere l’opportunità di pareggiare i conti e ripulire la sua immagine offuscata.

Nel frattempo, per contrastare la crescente popolarità di Hamas, Israele ha intensificato l’assedio di Gaza, chiudendo i valichi per la Striscia, limitando l’ingresso di aiuti e l’esportazione e importazione di generi alimentari e riducendo la fornitura di elettricità.

Di conseguenza, la situazione umanitaria a Gaza si è notevolmente deteriorata. I palestinesi nella Striscia affrontano condizioni sempre peggiori e quindi stanno facendo sempre più pressione su Hamas affinché provveda ai loro bisogni. Hamas, tuttavia, non ha la possibilità di dare risposte a queste legittime richieste umanitarie. Trovandosi in questa difficile posizione, Hamas potrebbe tentare di esportare la sua crisi interna con un nuovo conflitto generalizzato con Israele.

Una delle più importanti questioni economiche su cui è improbabile che Hamas scenda a compromessi è il finanziamento fornito dal Qatar dall’ottobre 2018, quando il movimento e Israele raggiunsero un’intesa con il patrocinio di Qatar, Egitto e Nazioni Unite.

Come parte di questo accordo, Doha invia 30 milioni di dollari al mese distribuiti a molti settori economici di Gaza, incluso il trasferimento di 100 dollari all’inizio di ogni mese a decine di migliaia di famiglie palestinesi. Il denaro dato agli abitanti di Gaza aiuta a rivitalizzare l’economia della striscia e a mitigare gli effetti dell’assedio israeliano.

Israele e gli Stati Uniti hanno spinto per la fine della sovvenzione in denaro del Qatar e hanno suggerito di sostituirla con buoni di acquisto dello stesso valore. Questa proposta è stata categoricamente respinta da Hamas, poiché si rende conto che molti degli abitanti di Gaza sopravvivono con queste elargizioni in contanti e che perderle porterebbe probabilmente a una situazione esplosiva nella striscia.

Sembra esserci un’impasse anche su un’altra questione: lo scambio di prigionieri. Sebbene per un certo tempo si sia parlato di un accordo imminente, ci sono gravi disaccordi che hanno portato al fallimento delle trattative indirette. Questo è un altro problema che potrebbe potenzialmente riaccendere le ostilità tra le due parti.

Da parte sua Hamas ha espresso il desiderio di sfruttare qualsiasi scontro militare con Israele per aumentare il numero di soldati israeliani catturati al fine di ottenere più strumenti di pressione ed essere in grado di scambiarli con prigionieri palestinesi detenuti da Israele.

Sebbene le forze che spingono per un nuovo conflitto siano forti, ci sono alcune fattori che finora hanno impedito lo scoppio di un’altra guerra a Gaza.

In primo luogo, lo stesso motivo che tiene le mani legate al nuovo governo israeliano sui raid contro Al-Aqsa e sulle espulsioni forzate dei gerosolimitani palestinesi dalle loro case – la sua fragilità – gli impedisce anche di lanciare un altro attacco contro Gaza. Se lo facesse, uno dei suoi partner di coalizione, il partito palestinese Raam, probabilmente ritirerebbe il suo sostegno. Altri potrebbero anche abbandonare la nave se la rappresaglia di Hamas avesse successo, specialmente se riuscisse a colpire in profondità il territorio israeliano.

Per questo – almeno per ora – il nuovo governo preferirebbe impegnarsi in colloqui indiretti con Hamas, alzare le sue richieste negoziali e dedicarsi a gestire la situazione senza necessariamente cadere in uno scontro diretto.

In secondo luogo, Hamas è consapevole che sia i suoi combattenti che i civili di Gaza potrebbero non essere in grado di superare un’altra campagna israeliana di distruzione indiscriminata. Non appena finita l’ultima guerra, il suo braccio armato ha iniziato a ripristinare le proprie capacità militari, ma era evidente che i suoi combattenti avevano bisogno di “una pausa”. Data la difficile situazione umanitaria nella Striscia, anche gli abitanti sono gravemente provati dalla guerra.

La consapevolezza dello “sfinimento a causa del conflitto” tra i palestinesi di Gaza è stata evidente nella risposta di Hamas alla marcia organizzata dai coloni attraverso la Gerusalemme occupata dopo che il nuovo governo israeliano aveva preso il potere.

Piuttosto che lanciare una risposta militare alla marcia come è successo lo scorso Ramadan, Hamas si è accontentata di denunciarla.

Terzo, gli Stati Uniti non vogliono alcun conflitto armato nei territori palestinesi. A maggio hanno spedito i loro inviati nella regione per fare pressione su tutte le parti affinché si impegnassero per il cessate il fuoco, in modo che non vi siano nuove ostilità mentre cercano di portare a termine un accordo nucleare con l’Iran. Gli Stati Uniti vogliono la calma nella regione anche perché devono dedicarsi al confronto con Cina e Russia.

Sebbene finora questi fattori stiano impedendo un altro conflitto tra Israele e Hamas, la situazione è abbastanza instabile e imprevedibile. In qualsiasi momento il calcolo di ciascun attore può cambiare, e i benefici di un’altra guerra potrebbero essere percepiti come maggiori rispetto all’ impegno a mantenere l’attuale cessate il fuoco. Non vi sarà una tregua più stabile fino a quando non saranno risolte le principali questioni in sospeso tra Israele e Hamas.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)