Il viaggio dal Cairo a Rafah può durare fino a tre giorni a causa dei periodici controlli e delle ripetute perquisizioni dei bagagli. “I funzionari egiziani non dimostrano nessun rispetto, neppure per i malati o gli anziani.”
Motasem A. Dalloul
24 agosto 2021 – Monitor de Oriente
Il giovane Ayman Adly si è laureato in farmacia all’università Al Azhar di Gaza nel 2009. Dato l’alto tasso di disoccupazione provocato dall’assedio e dalle ripetute offensive militari lanciate contro l’enclave costiera da parte di Israele, non ha potuto trovare lavoro.
“Mi sono connesso a internet ed ho seguito decine di account di reti social e pagine specializzate nel mettere in contatto chi cerca un impiego con datori di lavoro all’estero,” mi dice. “Non c’è voluto molto perché fossi preselezionato per un colloquio. L’azienda mi ha chiesto se potevo lavorare negli Emirati Arabi Uniti (EAU) e ho detto di sì. Lì sono iniziate le difficoltà.”
L’ostacolo successivo è stato il valico di Rafah, dal 2007 [data d’inizio dell’assedio israeliano, ndtr.] l’unica uscita verso il resto del mondo per la maggioranza dei palestinesi della Striscia di Gaza. Per utilizzarlo aveva bisogno di un passaporto, per cui ha raccolto come dovuto tutta la documentazione richiesta ed ha presentato domanda. L’Autorità Nazionale Palestinese di Ramallah ci ha messo due mesi a rilasciargli il passaporto.
“Mi è stato rilasciato nel 2009 ed è scaduto nel 2014,” dice. “Il secondo è stato rilasciato in due settimane nel 2015 ed è scaduto nel 2020.” Ne ha subito chiesto un terzo e l’ha ottenuto in una settimana. Quindi Adly ha avuto tre passaporti, e non ne ha utilizzato nessuno per viaggiare.
“Con in mano il primo passaporto sono andato al valico di Rafah e, dopo aver passato sul lato egiziano circa 20 ore in una sala per immigrati strapiena di gente, un impiegato mi ha chiamato per nome, mi ha restituito il passaporto e mi ha detto che il mio nome era sulla lista nera e che avevo il divieto di ingresso o di passaggio in Egitto.”
Con quella breve frase l’impiegato egiziano ha spezzato le speranze di Adly di arrivare al suo nuovo lavoro negli EAU. Continuerà a provarci, dice, ma ci vorrà molta pazienza.
Secondo il ministero degli Interni palestinese a Gaza c’è un elenco di più di 27.000 persone che devono viaggiare passando per il valico di Rafah. Le autorità egiziane consentono il passaggio solo a 350 persone attraverso la stanza normale e a circa 100 da quella VIP al giorno quando il valico è aperto (ci sono frequenti chiusure). Quelli che devono viaggiare ci mettono mesi per passare da Rafah.
“Il numero di persone che vogliono viaggiare aumenta costantemente,” spiega Iyad Al-Bozom, portavoce del ministero dell’Interno [di Gaza, ndtr.]. “Abbiamo chiesto agli egiziani di aumentare la quota giornaliera di persone che possono passare.” La richiesta è ovviamente caduta nel nulla.
Cinque anni fa l’esercito egiziano ha creato l’impresa Ya Hala per il turismo e i viaggi. Organizza viaggi VIP per i palestinesi di Gaza che possono pagare. All’inizio lavorava dietro le quinte. Dopo le proteste della Grande Marcia del Ritorno del 2018 e gli accordi raggiunti tra Israele, Egitto e i gruppi della resistenza palestinese a Gaza, il valico è rimasto aperto regolarmente e questa impresa ha iniziato a lavorare alla luce del sole.
Si è accordata con agenzie di viaggio di Gaza che hanno cominciato a promuovere i suoi servizi. Le autorità egiziane hanno costruito una sala immigrazione speciale per i suoi clienti.
Hatem, che non ha voluto fornire il suo cognome, è un agente di un’agenzia di viaggi e turismo con sede a Gaza. “Registriamo da 100 a 150 passeggeri VIP al giorno,” dice. “Facciamo controlli di sicurezza a ognuno di loro per 100 dollari. Se la persona non è sulla lista nera pagherà tra i 400 e i 500 dollari per passare sul lato egiziano del valico e per un taxi fino al Cairo.”
Questi VIP non subiscono ulteriori controlli di sicurezza e i taxi li portano dal confine direttamente al Cairo. Non si fermano a nessuno dei controlli militari e i loro bagagli non vengono controllati. Il viaggio al Cairo dura solo 6 ore, al massimo 7 o 8. “Tutti i soldi che facciamo pagare vanno a finire a imprese egiziane, sicuramente controllate dall’esercito,” sottolinea Hatem. “Noi riceviamo solo qualche provvigione.”
Tuttavia la gente come Ayman Adly non ha denaro sufficiente per pagare così tanto e passare da Rafah come VIP. Lui e quelli come lui possono aspettare anni prima di viaggiare.
Quelli che arrivano alla sala immigrazione egiziana possono aspettare molto tempo: le 20 ore di Adly non sono rare. I servizi della sicurezza nazionale egiziana interrogano molti sulla loro appartenenza politica e sulle attività politiche e religiose.
Sameer Abu Jazar è appena tornato a Gaza dal Qatar. Descrive il suo viaggio dal Cairo a Gaza come “la via verso l’inferno”. Tutti i viaggiatori che non sono VIP devono sopportare il sole ardente per 12 ore nel posto di controllo di Al-Faradan, nei pressi del Canale di Suez.
“Le forze di sicurezza egiziane controllano i bagagli dei palestinesi e confiscano quasi tutti gli apparecchi elettronici, compresi i computer portatili e i telefonini,” spiega Abu Jazar. “Lasciano solo un telefono a viaggiatore e a volte nessun computer portatile. Confiscano profumi e molte altre cose. A volte anche cibo.”
Ha aspettato con altre centinaia di persone dalle 6 del mattino fino alle 10 di notte all’aperto. Non c’è un posto in cui proteggersi e i servizi sono scarsi. “Non ci sono gabinetti. Se hai bisogno ti devi allontanare, trovare un posto un po’ appartate e farla lì.”
Il viaggio dal Cairo a Rafah può durare fino a tre giorni, a causa dei controlli regolari e delle continue perquisizioni del bagaglio. “I funzionari egiziani non dimostrano alcun rispetto, neppure per malati o anziani,” afferma Abu Jazar.
Ciò è quanto aspetta i palestinesi che vogliono viaggiare da Gaza attraverso il valico di Rafah. È un percorso doloroso, che però devono sopportare se sperano di ottenere un volo che li porti al luogo di studio, di cura o a un nuovo lavoro.
“Se avessi un’alternativa per tornare a Gaza l’avrei presa,” conclude Abu Jazar. “Qualunque cosa dev’essere meglio del modo infernale in cui ci trattano gli egiziani. Qualunque cosa.”
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.
(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)