La polemica razzista di Israel Harel contro i beduini rivela la profondità dell’apartheid

Un villaggio beduino "non ricnosciuto"
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Rawia Aburabia, Oren Yiftachel 

18 gennaio 2022, Haaretz

A volte, un solo commento spontaneo rivela improvvisamente la vera natura di qualcosa. Questo è quello che è successo con l’arrogante editoriale di Israel Harel “Con la legge sull’elettricità Israele sta riconoscendo le conquiste beduine” (Haaretz, 12 gennaio), e lo stesso con un editoriale successivo pubblicato su Haaretz in ebraico venerdì scorso.

In questi editoriali ha affermato che la nuova legge promulgata per fornire elettricità ad alcune case costruite illegalmente avrebbe “strappato” allo Stato ampie zone del Negev centrale a favore di un simil-Stato di crimine, droga e illegalità che ha definito nientemeno che “Beduiland”.

Perché Harel è tanto arrabbiato? Per il collegamento alla rete elettrica di case di cittadini israeliani? Vorremmo ribattergli che la sua rabbia rivela una preoccupante realtà alla radice dell’apartheid che va ben oltre la legge sull’elettricità.

L’intollerabile facilità con cui un articolo del genere è stato pubblicato, senza nemmeno una minima modifica per correggere i fatti (dov’erano i redattori di Haaretz?), quando il suo unico scopo era quello di sollevare astio contro uno dei segmenti più deboli della società israeliana – un gruppo ben lontano dal ricevere giustizia – solleva seri interrogativi sulla cecità e la negazione che affliggono gran parte della società israeliana. Questa cecità è ciò che permette di pubblicare un articolo che incita contro un’intera comunità il cui unico crimine è di esistere in un Paese che rifiuta di riconoscerla.

Quell’articolo isterico e istigatorio è simile alla ingannevole propaganda di gruppi estremisti di destra come Regavim e Im Tirtzu. Ha rivelato la profondità dell’ignoranza di Harel che aderisce all’antica tradizione colonialista di incolpare le vittime. Inoltre, il fatto che questo articolo sia stato pubblicato su un giornale stimato mostra come la cecità storica nei confronti della questione beduina in particolare e dell’apartheid israeliano in generale sia penetrata in profondità nella coscienza pubblica e debba essere continuamente confutata.

Cominciamo a correggere i fatti. In primo luogo, le terre in cui vivono i beduini comprendono il 3% del Negev. Inoltre, si trovano nell’angolo a nord-est, ben lontano dal “cuore del Negev centrale”, come sostiene Harel.

In secondo luogo, contrariamente al suo grido di disperazione, si prevede che la legge sull’elettricità avrà un impatto trascurabile sul Negev, poiché è probabile che solo poche centinaia di case saranno riconosciute come parte di futuri piani generali. Al contrario, più di 100.000 cittadini israeliani chiedono riconoscimento e servizi di base.

Terzo, anche se tutti fossero collegati alla rete elettrica – un diritto fondamentale che non dovrebbe dipendere dalla generosità dello Stato – perché questo “strapperebbe” l’area a Israele? Dopotutto, i beduini sono cittadini, no?

Qui si insinua un dubbio. Harel, giornalista veterano, ha verificato i fatti prima di avvelenare il discorso?

Ma ripensandoci, forse è meglio che Harel non controlli e parli invece d’istinto. Le sue generalizzazioni autenticamente razziste rivelano un problema più profondo: l’apartheid in tutte le aree sotto il controllo di Israele, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo. Vale la pena rileggere i suoi articoli per comprendere le profonde ragioni sotterranee delle forze che governano il Paese da decenni.

Solo in un regime di apartheid un colono come Harel, che vive nella colonia di Ofra in Cisgiordania su terra palestinese rubata, può accusare una comunità indigena che vive nelle sue terre da centinaia di anni di “occupazione”. Solo in un regime di apartheid Harel, ex presidente del Consiglio delle colonie Yesha, ha potuto ignorare la vera occupazione, sotto i cui auspici furono costruite quelle colonie illegali solo per ebrei in Cisgiordania. In altre parole, il suo stesso status di occupante lo squalifica.

Ovviamente, Harel non è solo. Si è semplicemente unito alla orrida marea di discorsi incendiari e razzisti contro i beduini, provenienti da ampie fasce della società ebraica. Un esempio palmare dell’incolpare la vittima, comportamento molto amato dai regimi coloniali.

Se sono stati commessi crimini nel sud vanno condannati, ma è importante non dimenticare i fatti. I beduini vivono nel Negev da centinaia di anni. E come hanno dimostrato tutti gli studi su questo argomento, ne possedevano gran parte fino a quando non furono espropriati dallo Stato di Israele. Sono anche la comunità più trascurata, impoverita e derelitta oggi in Israele.

Pertanto, è fondamentale ricordare che i beduini non si sono impadroniti di questa terra; erano nel Negev molto prima che iniziasse l’insediamento ebraico. Vorremmo anche cogliere l’occasione per ricordare ad Harel che le sue ridicole accuse non possono cancellare il fatto che lui è un colono illegale, parte della macchina di occupazione che commette quotidianamente crimini di guerra.

Come dobbiamo procedere? Le dichiarazioni al vetriolo di Harel rivelano il regime di apartheid che vige tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Il passo ovvio e necessario adesso è che tutti i veri sostenitori della democrazia, nel Negev e in Israele, si uniscano alla battaglia contro questo regime razzista. Che inizia con la condanna degli articoli di Harel e di altri commenti simili. E continua con la lotta per l’uguaglianza sia individuale che collettiva di tutti gli abitanti di questa terra.

Prof. Oren Yiftachel insegna geografia politica e giuridica alla Università Ben-Gurion. La dottoressa Rawia Aburabia è membro della Facoltà di Giurisprudenza del Sapir College. Entrambi vivono nel Negev. Le loro opinioni non riflettono necessariamente quelle delle loro istituzioni.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)