L’autoritarismo dell’ANP affonda le sue radici negli accordi di Oslo

Camp David 13 settembre 1993. Foto: Gary Hershorn/Reuters
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Yara Hawari

13 settembre 2023 – Al Jazeera

L’Autorità Nazionale Palestinese non è mai stata concepita per costituire un governo democratico e difendere gli interessi del popolo palestinese.

Il 13 settembre 1993 il leader palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin si strinsero la mano sul prato della Casa Bianca affiancati dal presidente americano Bill Clinton molto compiaciuto. Avevano appena firmato un accordo che sarebbe stato salutato come uno storico accordo di pace che avrebbe posto fine al “conflitto” decennale tra palestinesi e israeliani.

In tutto il mondo la gente festeggiò l’accordo che divenne noto come Accordi di Oslo. Fu ritenuto un grande successo diplomatico. Un anno dopo Arafat e Rabin ricevettero il Premio Nobel per la pace.

Molti palestinesi speravano anche di ottenere finalmente uno Stato sovrano, anche se avrebbe occupato meno del 22% della loro patria originaria. In effetti questa era la promessa degli Accordi di Oslo – un processo graduale verso uno Stato palestinese.

Trent’anni dopo i palestinesi sono più lontani che mai da un proprio Stato. Hanno perso ancora più terra a causa degli insediamenti israeliani illegali e sono costretti a vivere in bantustan sempre più piccoli in tutta la Palestina colonizzata. Ormai è chiaro che Oslo aveva il solo scopo di aiutare Israele a consolidare la sua occupazione e colonizzazione della Palestina.

Peggio ancora, ciò che i palestinesi ottennero dagli accordi di Oslo fu una forma piuttosto perniciosa di autoritarismo palestinese nei territori occupati nel 1967.

Uno dei termini dell’accordo era che alla leadership in esilio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) sarebbe stato permesso di ritornare solo nei territori occupati da Israele nel 1967 – Cisgiordania e Gaza – e le sarebbe stato permesso di creare un governo ad interim noto come come Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per un periodo di cinque anni.

L’Autorità Nazionale Palestinese, composta da membri del partito di Arafat, Fatah, si assunse la responsabilità degli affari del popolo palestinese mentre l’occupazione militare israeliana rimaneva in vigore. Con il sostegno della comunità internazionale e del regime israeliano Arafat perseguì un governo basato sul clientelismo e sulla corruzione, con scarsa tolleranza per il dissenso interno.

Il successore di Arafat, il presidente Mahmoud Abbas, ha continuato sulla stessa strada. Oggi, all’età di 87 anni, non solo è uno dei leader più anziani del mondo, ma ha anche superato da più di 14 anni il suo mandato legale, nonostante il decrescente sostegno al suo governo da parte dei palestinesi.

Da quando è salito al potere Abbas ha più volte indetto in malafede delle elezioni, l’ultima delle quali nel gennaio 2021. Quell’anno le votazioni sono state infine cancellate dopo che l’Autorità Nazionale Palestinese ha accusato il regime israeliano di rifiutarsi di consentire la partecipazione dei palestinesi di Gerusalemme Est occupata.

Questo succedersi di false promesse di elezioni soddisfa temporaneamente il desiderio della comunità internazionale per quella che chiama “democratizzazione” delle istituzioni dell’Autorità Nazionale Palestinese. Ma la realtà è che il sistema è così profondamente corrotto – in gran parte grazie agli Accordi di Oslo – che le elezioni porterebbero inevitabilmente alla continuazione delle strutture di potere esistenti o all’arrivo al potere di un nuovo leader autoritario.

Oltre ad avere un’avversione per le elezioni, Abbas ha anche lavorato sodo per erodere ogni spazio democratico in Cisgiordania. Ha unito tutti e tre i rami del governo – legislativo, esecutivo e giudiziario – in modo che non ci siano controlli sul suo potere. Avendo il controllo assoluto sugli affari palestinesi, governa per decreto. Negli ultimi anni ciò ha portato a processi decisionali sempre più assurdi.

L’anno scorso, ad esempio, ha sciolto il Sindacato dei Medici dopo che il personale medico aveva scioperato. Ha poi creato il Consiglio Supremo degli Organi e dei Poteri Giudiziari e se ne è nominato capo, consolidando così il suo potere sui tribunali e sul Ministero della Giustizia.

Più recentemente, il 10 agosto, ha costretto 12 governatori al pensionamento senza informarli. Molti dei licenziati hanno appreso delle loro dimissioni forzate dai media locali.

Per mantenere il potere Abbas dispone anche di un vasto apparato di sicurezza. Il settore della sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese, finanziato e formato a livello internazionale, impiega il 50% dei dipendenti pubblici e assorbe il 30% del budget totale dell’Autorità Palestinese – più dell’istruzione, della sanità e dell’agricoltura messe insieme.

Questo apparato è responsabile di un’enorme quantità di violazioni dei diritti umani, tra cui l’arresto di attivisti, le minacce nei confronti dei giornalisti e la tortura dei detenuti politici.

In molti casi, la repressione da parte dell’apparato di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese è complementare a quella israeliana. Ad esempio, nel 2021, durante quella che divenne nota come Intifada dell’Unità [le mobilitazioni che nel maggio del 2021 coinvolsero anche i palestinesi cittadini israeliani, ndt.], molti attivisti furono arrestati e brutalmente interrogati dalle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese. Quest’anno, dopo l’invasione del campo profughi di Jenin da parte delle forze del regime israeliano, l’Autorità Nazionale Palestinese ha arrestato molti dei presenti sul campo che erano stati precedentemente incarcerati dagli israeliani in una pratica nota come “porta girevole”.

In effetti una delle clausole degli Accordi di Oslo era che l’Autorità Nazionale Palestinese dovesse cooperare pienamente con il regime israeliano nelle questioni di “sicurezza”. Per soddisfare questa disposizione l’apparato di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese ha lavorato sodo per sopprimere qualsiasi attività ritenuta una minaccia dal regime israeliano.

L’ANP consegna costantemente informazioni sulla sorveglianza dei palestinesi all’esercito israeliano e non fa nulla per contrastarne gli attacchi mortali contro villaggi, città e campi palestinesi che si ripetono a cadenze regolari. In effetti le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese lavorano fianco a fianco con il regime israeliano per reprimere la resistenza palestinese.

Infatti, date le disposizioni degli accordi di Oslo, l’Autorità Nazionale Palestinese non avrebbe potuto essere diversa. Un organo di governo responsabile nei confronti dei donatori internazionali che lo finanziano e del regime israeliano che mantiene il controllo finale non avrebbe mai potuto essere al servizio del popolo palestinese.

Sorprendentemente l’idea che gli accordi di Oslo siano stati un processo di pace ben intenzionato, ma fallito, ha ancora una forte presa in alcuni ambienti occidentali. La verità è che gli artefici di Oslo non erano interessati alla creazione di uno Stato palestinese o alla liberazione, ma volevano piuttosto trovare un modo per convincere la leadership palestinese ad accettare tranquillamente la capitolazione e a sopprimere ogni ulteriore resistenza della base.

Questi accordi hanno incoraggiato e sostenuto l’autoritarismo dell’ANP perché è funzionale a quegli obiettivi. In sostanza Oslo non ha portato la pace ai palestinesi, ma un altro grosso ostacolo alla loro liberazione.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)