Lara-Nour Walton
9 settembre 2024 – Mondoweiss
Quando un governo straniero e i suoi cittadini uccidono un americano ciò in genere suscita l’indignazione dei media statunitensi. Ma la recente ondata di violenza di Israele contro americani, compresa l’uccisione di Ayşenur Ezgi Eygi, ha ricevuto pochissimo spazio.
La ventiseienne americana Ayşenur Ezgi Eygi è arrivata in Palestina solo tre giorni prima che le forze israeliane le sparassero in testa. Al momento della sua morte, il 6 settembre, stava protestando pacificamente contro le colonie illegali nel villaggio di Beita, nella Cisgiordania occupata. Questa uccisione è ordinaria amministrazione. Israele ha una storia di omicidi di cittadini americani a sangue freddo. All’inizio del nuovo secolo c’è stato uno stillicidio di uccisioni ogni anno. Nel 2003 un soldato dell’esercito israeliano che guidava un Caterpillar D9 passò ripetutamente sul corpo di Rachel Corrie, cittadina statunitense che stava cercando di fermare la demolizione di una casa palestinese. Morì schiacciata.
Poi, nel 2010, il diciannovenne Furkan Doğan cadde vittima del fuoco israeliano a bordo di una nave in acque internazionali. Il cittadino americano stava tentando di consegnare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza assediata.
Era il 2016 quando Mahmoud Shaalan, che indossava una felpa North Face e jeans, uscì per andare a trovare sua zia. Non ci arrivò, un soldato israeliano sparò a morte all’adolescente della Florida a un checkpoint in Cisgiordania.
Il 2022 è stato un anno letale, inaugurato dal brutale arresto e conseguente morte dell’americano-palestinese Omar Abdulmajeed Asaad. Il ministero della Sanità palestinese ha affermato che l’ottantenne Asaad, che era stato preso durante una retata nella sua città natale, ha avuto un attacco di cuore “provocato molto probabilmente dal pestaggio e aggravato dalla lunga costrizione e poi dall’abbandono con le manette ai polsi per varie ore in un edificio… in una notte freddissima.”
Poi, ovviamente, nel 2022 c’è stata Shireen Abu Akleh. La giornalista americana di Al Jazeera indossava un giubbotto chiaramente contrassegnato dalla scritta “STAMPA” quando è stata assassinata da un cecchino dell’esercito israeliano.
Ma, mentre Israele continua a condurre la sua guerra a Gaza, che ormai è costata la vita ad almeno 40.000 palestinesi, quello stillicidio di uccisioni di cittadini USA è improvvisamente diventato una cascata. La morte di Eygi è stata preceduta dagli omicidi di due diciassettenni americani, Mohammad Khdour e Tawfic Abdel Jabbar, e del dipendente di World Central Kitchen [ong statunitense che si occupa di aiuti alimentari, ndt.] Jacob Flickinger. Ad agosto l’insegnante americano Amado Sison è stato colpito e ferito durante la stessa protesta settimanale contro le colonie in cui è stata uccisa Eygi.
Quando un governo straniero e i suoi cittadini uccidono un americano dietro l’altro è ragionevole supporre che questo comportamento susciti un minimo di indignazione nei media statunitensi. Ma la recente ondata di violenza di Israele contro americani, compresa l’uccisione di Ayşenur Ezgi Eygi, ha ricevuto pochissimo spazio.
Fino al 6 settembre il presunto giornale di riferimento, The New York Times, non aveva pubblicato un solo articolo riguardante Khdour o Sison. I nomi di Jabbar e Flickinger insieme sono stati citati in otto articoli – quello di Jabbar in due, Flickinger in sei.
Di contro l’uccisione da parte di Hamas dell’ostaggio americano Hersh Goldberg-Polin ha attirato un’attenzione molto maggiore sui media. Dalla sua esecuzione, il primo settembre, il nome di Goldberg-Polin il 6 settembre era già apparso in 26 articoli e newsletters del New York Times.
Mentre la scarsa informazione sulla morte di palestinesi è una tendenza che ha segnato a lungo il New York Times e più in generale i grandi media, ora risulta che il solo fatto di schierarsi con la causa palestinese toglie rilevanza alla propria morte, anche se le vittime della violenza di stato di Israele sono americane.
Nella sua scarsa informazione sulle morti che hanno preceduto quella di Eygi, il New York Times ha dimenticato di evocare, anche solo una volta, la consolidata storia di uccisioni di cittadini americani da parte di Israele. Senza che venga incluso questo contesto fondamentale, come può un lettore cogliere eventualmente la portata di questo fenomeno?
Subito dopo la morte di Eygi, l’informazione del New York Times non è migliorata. Il 6 settembre il giornale ha intitolato “Donna americana colpita e uccisa durante una protesta in Cisgiordania.” Evidentemente il Times non pensa che ciò sia abbastanza degno di nota da includere nel titolo la responsabilità di Israele per l’omicidio. Di fatto un lettore avrebbe dovuto superare tre paragrafi prima di scoprire una frase esplicita che suggerisce la responsabilità dell’esercito israeliano. Avrebbe dovuto avventurarsi ancora più in basso, dopo le citazioni di Anthony Blinken sull’importanza di “raccogliere informazioni” prima di arrivare a delle conclusioni, per trovare il racconto di un testimone oculare che accusa [i soldati israeliani] dell’uccisione.
Più tardi quel giorno il Times ha pubblicato “Aysenur Eygi, l’attivista americana uccisa in Cisgiordania, è stata una organizzatrice delle proteste nei campus,” rifiutando ancora di incolpare nel titolo il fuoco israeliano.
L’approccio assolutorio del New York Times nel raccontare questa tragedia non è unico. Altri importanti mezzi d’informazione americani hanno evitato allo stesso modo di affrontare la questione del responsabile, tenendo la parola “Israele” lontano dai titoli:
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Attivista americana colpita a morte alla testa in Cisgiordania (ABC, 9/6/24)
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Cittadina americana uccisa durante una protesta contro i coloni in Cisgiordania (USA Today, 9/6/24)
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Attivista americana colpita a morte nella Cisgiordania occupata (Politico, 9/6/24)
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Donna americana, 26 anni, muore dopo essere stata colpita alla testa in Cisgiordania (New York Post, 9/6/24)
Tuttavia, data la sua diffusione e reputazione nazionale di affidabilitè, è più grave quando il New York Times non rispetta il suo dovere di utilizzare un linguaggio esplicito. Ciò è particolarmente vero quando, di fronte alla violenza israeliana verso americani, il governo USA continua a concedere carta bianca. Perché se il quarto potere, il presunto cane da guardia del governo americano, non può nemmeno chiedere a Israele di darne conto, allora chi lo farà?
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)