L’industria bellica di Israele prospera sul genocidio e il mondo continua a comprare

Manifestazione a Toulouse l'11 settembre 2024 per l'embargo delle armi. Foto: Lionel Bonaventure/AFP
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Antony Loewenstein

11 agosto 2025 – Middle East Eye

Dalla Germania all’Arabia Saudita gli Stati stanno alimentando l’economia di guerra israeliana comprando armi e sistemi di sorveglianza testati in guerra contro i palestinesi di Gaza

Mentre chiunque abbia un briciolo di umanità è indignato dalla campagna israeliana di privazione del cibo e morte di massa a Gaza, la Germania ha altre priorità. Recentemente ha accettato di comprare dalla principale impresa bellica israeliana, Elbit, per 260 milioni di dollari un sistema di difesa missilistica. Qui non c’è nulla di nuovo, i soliti affari con uno Stato che persino secondo le più importanti organizzazioni per i diritti umani israeliane sta commettendo un genocidio.

Le industrie israeliane delle armi e della sorveglianza stanno prosperando grazie alla sua violenza a Gaza, in Cisgiordania e altrove. È un importante punto di forza. L’occupazione è un grande affare. Le cifre del 2024, le più recenti a disposizione, mostrano vendite record per 14,8 miliardi di dollari.

I numeri del 2025 probabilmente saranno persino superiori, alimentate da una grande domanda internazionale di armi, droni, sistemi di sorveglianza e strumenti di IA che Israele sta schierando a Gaza.

Il genocidio non impedisce a Israele di presentarsi come la miglior società “testata in battaglia”. Troppi Stati democratici e autocratici stanno ascoltando, imparando e comprando. Le grandi industrie tecnologiche sono invischiate fino al collo con l’esercito israeliano, e sì, mi riferisco a voi Microsoft, Amazon e Google, tra le altre.

Ho passato più di un decennio a indagare sul complesso militare industriale di Israele. Mentre è esagerato sostenere che l’infinita occupazione e i crimini di guerra israeliani esistono solo per promuovere le vendite per la difesa, non ci sono dubbi che il denaro ricavato dall’economia bellica rafforzi significativamente il bilancio di Israele.

È un punto giustamente sottolineato da Francesca Albanese, la relatrice speciale dell’ONU per Cisgiordania e Gaza nel suo recente rapporto From Economy of Occupation to Economy of Genocide [dall’Economia dell’Occupazione all’Economia del Genocidio, PaperFirst, 2025] in cui mette alla gogna le imprese che traggono profitto dalle azioni di Israele (Albanese fa costante riferimento al mio ultimo libro, Laboratorio Palestina [Fazi editore], per spiegare la logica della posizione geopolitica di Israele).

Alleanza con l’India

Chi sta comprando tutte queste armi israeliane?

Un recente titolo nel quotidiano israeliano Haaretz dettaglia una relazione fondamentale per la strategia della difesa di Israele: “Perché il futuro della difesa israeliana si trova in India”. L’articolo spiega come molte imprese belliche indiane e israeliane ora abbiano stabilito una stretta collaborazione commerciale, e aziende israeliane abbiano aperto fabbriche in India.

Una fonte israeliana anonima ha detto al giornale: “L’industria israeliana delle armi è diventata, se non una succursale di quella indiana, quanto meno un suo socio a pieno titolo.”

Dal 7 ottobre droni prodotti in India sono stati utilizzati a Gaza e il governo Modi a New Delhi ha schierato droni israeliani nella sua breve guerra con il Pakistan di aprile.

La collaborazione tra India e Israele è alimentata dai soldi, ma è anche ideologica e sia il primo ministro indiano Narendra Modi che quello israeliano Benjamin Netanyahu aderiscono all’etnonazionalismo e perseguitano i musulmani.

È un matrimonio di convenienza, e razzista, tra il fondamentalismo indù e il suprematismo sionista.

Nel 2024 l’Europa è stata il principale acquirente delle armi israeliane, pari al 54% sulle esportazioni totali. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 ha spinto molte Nazioni europee verso i sistemi d’arma e la difesa missilistica di Israele. Questa dipendenza spiega in parte la riluttanza dell’Unione Europea a tagliare anche solo parzialmente i rapporti con Israele in quasi due anni di massacri a Gaza.

L’industria bellica israeliana è la polizza assicurativa decisiva per uno Stato ebraico suprematista che sa quanto molti altri dipendano da essa. Ha un’oscura storia di collaborazione con alcuni dei regimi più brutali dopo la Seconda Guerra Mondiale, compresi quelli che sono apertamente antisemiti. Ritengo che negli ultimi decenni Israele abbia venduto armi o sistemi di sorveglianza ad almeno 140 Paesi.

Complicità araba

È già abbastanza grave che molte Nazioni occidentali abbiano adottato il militarismo israeliano, ma troppi Stati arabi, compresi Bahrein, Marocco, gli EAU e l’Arabia Saudita, continuano a fare affari con Israele. Non c’è una vera solidarietà né un supporto tangibile per i loro simili arabi, i palestinesi. Al contrario molte élite arabe desiderano la “normalizzazione” con il governo di Tel Aviv.

Queste dittature arabe temono il loro stesso popolo, una Primavera Araba 2.0, e comprano la tecnologia di sorveglianza israeliana testata in guerra per rafforzare il proprio dominio.

Secondo un nuovo libro sul reggente saudita Mohammed bin Salman (MBS), la giornalista Karen Elliott House spiega: “Egli (MBS) ha una prospettiva in cui Israele e Arabia Saudita sono le due grandi potenze (regionali) che lavorano insieme. Non sarà facile finché non c’è una qualche soluzione a Gaza, ma i sauditi che lo conoscono bene ti diranno che non può permettere che gli interessi sauditi siano ritardati per sempre dai palestinesi.”

È illuminante sapere che uno dei più potenti autocrati musulmani al mondo veda nel migliore dei casi i palestinesi come un disturbo e nel peggiore come una piaga. Si pensi solo a cosa MBS potrebbe fare per loro se chiedesse che Israele ponga fine al genocidio di Gaza. Invece sembra desiderare che spariscano, un’opinione molto simile a quella israeliana.

Farla finita con il commercio

L’unico modo per fermare veramente la potenza bellica israeliana è che le Nazioni smettano di comprarla. Oltretutto, come esorta a fare il Gruppo dell’Aia [composto da Nazioni del Sud del mondo creato a sostegno delle sentenze della Corte internazionale di giustizia e della Corte Penale Internazionale sul conflitto israelo-palestinese, ndt.], di recente costituzione, i Paesi devono anche smettere di vendere armi a Israele.

L’industria della difesa è intrinsecamente corrotta e sporca e molti Stati vi partecipano.

Con Israele come ottavo maggior venditore di armi al mondo e la spesa globale in armamenti che nel 2024 ha raggiunto la cifra record di 2,72 trilioni di dollari, rifiutare il militarismo e le macchine di morte automatizzate è il minimo che un Paese civile possa fare.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Antony Loewenstein è un giornalista indipendente, autore di best-seller, regista e co-fondatore di Declassified Australia [sito di giornalismo investigativo australiano, ndt.]. Ha scritto articoli per il Guardian, il New York Times, la New York Review of Books e molti altri. Il suo ultimo libro è Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo. Gli altri suoi libri includono Pills, Powder and Smoke, Disaster Capitalism e My Israel Question. I suoi documentari sono Disaster Capitalism e i film per Al Jazeera in inglese West Africa’s Opioid Crisis e Under the Cover of Covid. Ha anche vissuto a Gerusalemme est dal 2016 al 2020.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)