I palestinesi “sono destinati a vincere”: perché gli israeliani profetizzano la fine del loro Stato

Una conferenza stampa nel 2012 di Netanyahu e del suo ministro della difesa Barack Foto: Lior Mizrahi
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Ramzy Baroud

13 giugno 2022 – Middle East Monitor

Se è vero che il sionismo è un’ideologia politica moderna che ha sfruttato la religione per raggiungere specifici obiettivi coloniali in Palestina, le profezie continuano a essere una componente fondamentale della percezione di Israele di se stesso e del rapporto dello Stato con altri gruppi, in particolare i gruppi messianici cristiani negli Stati Uniti e nel mondo.

Il tema delle profezie religiose e della loro centralità nel pensiero politico israeliano è stato nuovamente messo in luce dopo le osservazioni dell’ex primo ministro israeliano Ehud Barak in una recente intervista al quotidiano in lingua ebraica Yedioth Ahronoth [quotidiano di centro, ndt.]. Barak, percepito come un politico “progressista”, leader un tempo del Partito laburista israeliano, ha espresso il timore che Israele “si disintegrerà” prima dell’80° anniversario della sua fondazione, avvenuta nel 1948.

Barak afferma: “Nel corso della storia ebraica gli ebrei non hanno mai governato per più di ottant’anni, tranne che nel corso dei due regni di Davide [intorno al 1000 a.c., ndt.] e della dinastia degli Asmonei [dal 140 al 63 a.c., anno della conquista romana, ndt.] e in entrambi i periodi il loro crollo iniziò nell’ottavo decennio”.

Basata su un’analisi pseudo-storica, la profezia di Barak sembra fondere i fatti storici con il tipico pensiero messianico israeliano, rievocando le dichiarazioni fatte dall’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel 2017.

Come Barak, le considerazioni di Netanyahu vennero proferite sotto forma di paura per il futuro di Israele e l’incombente “minaccia esistenziale”, la pietra angolare dell’hasbara [parola in lingua ebraica che indica gli sforzi di propaganda per diffondere all’estero informazioni positive sullo Stato di Israele e le sue azioni, ndt.] israeliana nel corso degli anni. In una sessione di studi biblici nella sua casa di Gerusalemme, Netanyahu aveva poi ricordato che il regno asmoneo, noto anche come dei Maccabei, sopravvisse solo 80 anni prima di essere conquistato dai romani nel 63 a.c.

Secondo una dichiarazione di uno dei partecipanti citata dal quotidiano israeliano Haaretz, Netanyahu avrebbe detto: ” Lo Stato Asmoneo è durato solo 80 anni e noi dovremmo superarlo“.

Ma, pur prendendo atto della presunta determinazione di Netanyahu di andare oltre quel numero [di anni, ndt.], sembra che egli abbia promesso di garantire che Israele superi gli 80 anni dei Maccabei per sopravvivere per 100 anni. Sono solo 20 anni in più.

La differenza tra le affermazioni di Barak e Netanyahu è abbastanza trascurabile: le opinioni del primo sono presumibilmente “storiche” e quelle del secondo sono bibliche. È tuttavia degno di nota che entrambi i leader, sebbene aderiscano a due diverse correnti politiche, convergano su punti di incontro simili: è in gioco la sopravvivenza di Israele; la minaccia esistenziale è reale e la fine di Israele è solo questione di tempo.

Ma il pessimismo in Israele non è certo confinato ai leader politici, che sono noti per esagerare e manipolare i fatti allo scopo di instillare paura e mobilitare i loro schieramenti politici, in particolare i potenti gruppi elettorali messianici di Israele. Anche se questo è vero, le previsioni sul cupo futuro di Israele non si limitano alle élite politiche del Paese.

In un’intervista ad Haaretz del 2019 Benny Morris, uno degli storici israeliani più conosciuti e rispettati, ha avuto molto da dire sul futuro del suo Paese. A differenza di Barak e Netanyahu, Morris non stava inviando segnali di allarme, ma affermava quello che a lui sembrava un risultato inevitabile dell’evoluzione politica e demografica del Paese.

“Non vedo come ne usciremo”, ha detto Morris, aggiungendo: “Oggi ormai ci sono più arabi che ebrei tra il mare (Mediterraneo) e il (fiume) Giordano. L’intero territorio sta inevitabilmente diventando uno Stato con una maggioranza araba. Israele si definisce ancora uno Stato ebraico, ma una situazione in cui governiamo un popolo sotto occupazione e senza diritti non può persistere nel XXI° secolo”.

Le previsioni di Morris, pur rimanendo fedeli ai miti razziali di una maggioranza ebraica, erano molto più articolate e anche realistiche rispetto a quelle di Barak, Netanyahu e altri. L’uomo che una volta si rammaricò che il fondatore di Israele, David Ben Gurion, non avesse espulso tutta la popolazione nativa della Palestina nel 1947-48, ha affermato con rassegnazione che, nel giro di una generazione, Israele cesserà di esistere nella sua forma attuale.

Particolarmente degna di nota nelle sue affermazioni è l’accurata percezione che “i palestinesi osservano le cose secondo una prospettiva ampia e a lungo termine” e che essi continueranno a “chiedere il ritorno dei rifugiati”. Ma chi sono i “palestinesi” a cui si riferisce Morris? Certamente non l’Autorità Nazionale Palestinese, i cui leader hanno ormai messo da parte il Diritto al Ritorno per i rifugiati palestinesi, e sicuramente non hanno “prospettive ampie e a lungo termine”. I “palestinesi” di Morris sono, ovviamente, lo stesso popolo palestinese, generazioni che hanno servito, e continuano a servire, in prima linea la causa dei diritti palestinesi nonostante tutte le battute d’arresto, le sconfitte e i “compromessi” politici.

In realtà le profezie riguardanti la Palestina e Israele non sono un fenomeno nuovo. La Palestina fu colonizzata dai sionisti con l’aiuto della Gran Bretagna, anche sulla base di quadri di riferimento biblici. Venne popolata da coloni sionisti sulla base di riferimenti biblici riguardanti la restaurazione di antichi regni e il “ritorno” di antichi popoli ad una loro presunta legittima “terra promessa”. Sebbene Israele abbia assunto molti significati diversi nel corso degli anni – a volte percepito come un’utopia ‘socialista’, in altri casi come un rifugio democratico e liberale – è sempre stato ossessionato da significati religiosi, visioni spirituali e inondato da profezie. L’espressione più sinistra di questa verità è il fatto che l’attuale sostegno a Israele da parte di milioni di fondamentalisti cristiani in Occidente è in gran parte guidato da profezie messianiche sulla fine del mondo.

Le ultime previsioni sul futuro incerto di Israele si basano su una logica diversa. Poiché Israele si è sempre definito uno Stato ebraico, il suo futuro è principalmente legato alla sua capacità di mantenere una maggioranza ebraica nella Palestina storica. Per ammissione di Morris e altri questo sogno irrealizzabile sta ora sgretolandosi poiché la “guerra demografica” si sta chiaramente e rapidamente perdendo.

Naturalmente, la convivenza in un unico Stato democratico sarà sempre una possibilità. Purtroppo per gli ideologi sionisti israeliani un tale Stato difficilmente soddisferà le aspettative minime dei fondatori del Paese, poiché non esisterebbe più nella forma di uno Stato ebraico e sionista. Perché si realizzi una coesistenza l’ideologia sionista dovrebbe essere totalmente eliminata.

Barak, Netanyahu e Morris lo stanno bene: Israele non esisterà come ‘Stato ebraico’ ancora per molto. Parlando rigorosamente in termini demografici, Israele non è più uno Stato a maggioranza ebraica. La storia ci ha insegnato che musulmani, cristiani ed ebrei possono coesistere pacificamente e prosperare collettivamente, come hanno fatto in tutto il Medio Oriente e nella penisola iberica per millenni. In effetti, questa è una predizione, persino una profezia, per la quale vale la pena lottare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)