Tyler McBrien
6 agosto 2025 – The intercept
È nei tribunali nazionali, non nella CPI o nella CIG, che i palestinesi hanno le migliori possibilità di ottenere giustizia.
Molti di coloro che osservano gli orrori che si consumano a Gaza hanno riposto le loro più grandi speranze e le loro più profonde frustrazioni nelle corti supreme del mondo: la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale. A quasi due anni dall’inizio della guerra questi organi giudiziari non hanno né impedito che si verificassero atrocità né punito i responsabili. Giornalisti e attivisti hanno accumulato ampie prove che documentano i crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano, eppure i suoi soldati continuano a operare a Gaza impunemente.
È un errore concentrarsi esclusivamente sulla CIG, istituita dalla Carta delle Nazioni Unite per dirimere le controversie tra Stati, e sulla Corte Penale Internazionale, che persegue gli individui accusati di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di aggressione ai sensi dello Statuto di Roma. Così facendo, si fraintende e si enfatizza eccessivamente il loro ruolo. “Il dibattito sulla giustizia penale internazionale ruota eccessivamente attorno alla CPI, oscurando altre vie e strumenti di giustizia”, mi ha detto Brian Finucane dell’International Crisis Group [ONG internazionale impegnata nella prevenzione e definizione dei conflitti, ndt.]. Questa miopia non tiene conto anche dell’importante lavoro svolto dai tribunali nazionali. È proprio a livello nazionale che i palestinesi hanno le migliori possibilità di ottenere giustizia, poiché gli Stati nazionali cercano di adempiere ai propri obblighi internazionali attraverso indagini e procedimenti giudiziari interni.
Per molti versi le speranze e le frustrazioni riposte nella CPI e nella CIG sono comprensibili. “Quando si pensa a processi internazionali, viene in mente Norimberga e il segnale dato alla comunità internazionale che si trattava dei crimini più gravi in assoluto”, ha affermato Jake Romm, avvocato per i diritti umani e rappresentante statunitense della Hind Rajab Foundation [fondazione con sede a Bruxelles, impegnata nel contrastare l’impunità israeliana per i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani in Palestina,ndt.]. Gaza è esattamente il tipo di grave situazione per cui sono stati istituiti questi tribunali, che dal 7 ottobre 2023 non sono rimasti completamente inattivi. All’inizio del 2024, dopo che il Sudafrica ha intentato una causa contro Israele sostenendo che avesse violato la Convenzione dell’ONU sul genocidio, la CIG ha emesso diverse serie di misure provvisorie ordinando a Israele di astenersi dal compiere atti di genocidio, di interrompere l’azione militare e garantire il flusso di aiuti umanitari. Nel novembre dello stesso anno la CPI ha emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant (insieme a tre alti comandanti di Hamas) per il crimine di utilizzo della fame come metodo di guerra e per i crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani.
Ma generalmente gli ingranaggi della giustizia si muovono lentamente e nel caso specifico dei palestinesi può spesso sembrare che gli ingranaggi della giustizia internazionale non si muovano affatto. La CIG probabilmente non si pronuncerà sul caso di genocidio prima della fine del 2027. E se le prospettive di vedere Netanyahu o Gallant sul banco degli imputati all’Aja sono sempre state scarse, appaiono ancora più scarse dopo che l’Ungheria, Stato parte dello Statuto di Roma, ha concesso al primo ministro ricercato di Israele un passaggio sicuro attraverso Budapest, sottraendosi all’obbligo di arrestarlo. Inoltre la CPI rimane coinvolta in una crisi dopo che il suo procuratore capo ha preso un periodo di congedo a causa di accuse di molestie sessuali, mentre i perenni problemi legati alle risorse e le pressioni politiche continuano ad affliggere la Corte e l’amministrazione Trump la prende di mira con sanzioni e altre minacce. Persino i tribunali penali internazionali speciali, come le strutture ad hoc create per i casi dell’ex Jugoslavia o Ruanda, sono soggetti al veto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un ostacolo insormontabile per i palestinesi.
Questi tribunali internazionali non hanno certamente soddisfatto le esigenze del momento, ma non possono lottare da soli per la giustizia globale, né sono stati concepiti per farlo. Senza un procedimento esecutivo indipendente il diritto internazionale funziona come un sistema volontario, la cui applicazione dipende dagli Stati – sia come soggetti che come agenti principali. E, secondo Chantal Meloni, professore associato di diritto penale all’Università degli Studi di Milano e consulente legale esperto del Centro Europeo per i Diritti Costituzionali e Umani, lo Statuto di Roma stabilisce “una logica molto chiara secondo cui non tutti i crimini internazionali commessi ovunque nel mondo possono sottostare alla giurisdizione della CPI, e gli Stati devono assumersi la loro parte di responsabilità per prevenire e punire questi crimini”.
Invece i tribunali nazionali spesso non devono affrontare le stesse limitazioni di risorse e possono perseguire i responsabili lungo tutta la catena di comando. La ricerca della giustizia attraverso i tribunali nazionali “può coinvolgere centinaia, persino migliaia di potenziali sospettati, a differenza della CPI, che è in grado di occuparsi solo di pochi casi”, ha affermato Mark Lattimer, direttore esecutivo del Ceasefire Centre for Civilian Rights [ONG con sede a Londra impegnata nella promozione dell’accesso alla giustizia per tutti, ndt.] . Sebbene gli Stati affrontino anche pressioni politiche interne, non devono necessariamente destreggiarsi come fa la CPI per compiacere i suoi numerosi sostenitori. Lattimer aggiunge che gli sforzi nazionali possono anche “rompere i doppi standard” fin troppo presenti nelle corti internazionali, soprattutto nei Paesi con una magistratura forte e indipendente, immune dalle conseguenze dei continui slittamenti di potere geopolitici e libera di perseguire le più gravi violazioni del diritto internazionale, indipendentemente dalla nazionalità del colpevole.
Gli sforzi per attivare la giurisdizione nazionale per i crimini internazionali non sono una novità. Un ampio corpus giurisprudenziale è emerso da procedimenti extraterritoriali sulla guerra siriana, sulle guerre balcaniche, su vari conflitti africani e, naturalmente, sulla Seconda Guerra Mondiale. Paesi come la Spagna e il Belgio disponevano già di leggi sulla giurisdizione universale, che autorizzano le autorità nazionali di qualsiasi paese a indagare e perseguire gravi crimini internazionali anche se commessi in un altro Paese, in vigore anche prima dell’adozione dello Statuto di Roma nel 1998.
Avvocati e attivisti, basandosi su questi precedenti storici, stanno spingendo le giurisdizioni nazionali ad indagare e perseguire gli atroci reati commessi dall’esercito israeliano a Gaza, con risultati tangibili in diversi Paesi. Il mese scorso le autorità belghe hanno fermato e interrogato durante un festival musicale due soldati israeliani in licenza in risposta a una denuncia presentata dalla Hind Rajab Foundation e dal Global Legal Action Network. L’episodio dell’arresto di soldati israeliani da parte di autorità nazionali con l’accusa di crimini commessi a Gaza potrebbe aver costituito un precedente, ma questi “soldati itineranti”, alcuni dei quali con doppia cittadinanza, hanno dovuto affrontare anche altre conseguenze. A gennaio, il ministro degli Esteri israeliano ha aiutato Yuval Vagdani, soldato in vacanza, a fuggire dal Brasile dopo aver appreso che un giudice federale aveva aperto un’indagine per crimini di guerra a seguito di un’altra denuncia della Hind Rajab Foundation. (Vagdani ha negato le accuse.)
Oltre ad aver presentato una denuncia alla CPI contro oltre 1.000 membri dell’esercito israeliano, la Fondazione Hind Rajab ha inoltrato elenchi di accuse e richieste di arresto alle autorità nazionali di almeno 23 Paesi. In risposta a questi e altri interventi il governo israeliano ha emesso avvisi per i soldati che si recano in determinate giurisdizioni con suggerimenti legali e altri consigli. “Sono spaventati”, dice Romm. “Per la prima volta nella storia sistemi giuridici nazionali stanno attivando la possibilità di arrestare e incarcerare questi soldati israeliani per quello che stanno facendo ai palestinesi”. Sebbene nessuna denuncia abbia ancora portato a un procedimento giudiziario è probabile che questi procedimenti continuino e potrebbero persino accelerare. A luglio 30 Paesi riuniti nel Gruppo dell’Aja [blocco inizialmente formato da otto Stati, con l’ obiettivo dichiarato di assicurare Israele alla giustizia sulla base del diritto internazionale, ndt.] si sono impegnati a sostenere “mandati di giurisdizione universale, nei modi e nei luoghi applicabili secondo i nostri quadri giuridici costituzionali e giudiziari, per garantire giustizia a tutte le vittime e la prevenzione di futuri crimini nei Territori Palestinesi Occupati”.
Naturalmente in diversi Paesi l’attuale contesto politico rende impossibile qualsiasi indagine sui soldati israeliani, a prescindere dalle questioni di giurisdizione e di capacità processuale. Ad aprile la Fondazione Hind Rajab ha presentato una richiesta urgente al Dipartimento di Giustizia per perseguire penalmente il soldato israeliano Yuval Shatel ai sensi della legge federale statunitense, dopo aver appreso che era stato avvistato in Texas giorni prima. Secondo un comunicato stampa della fondazione, la richiesta includeva un dossier di prove a sostegno delle accuse secondo cui Shatel avrebbe commesso “gravi violazioni del diritto internazionale umanitario durante la campagna militare israeliana a Gaza”. (Shatel e il Dipartimento di Giustizia non hanno risposto alle richieste di commento).
Tuttavia la Hind Rajab Foundation non è ingenua. Le possibilità che il Procuratore Generale degli Stati Uniti Pam Bondi ordini al Dipartimento di Giustizia di indagare sulle accuse contro Shatel sembrano a dir poco scarse, considerando soprattutto che il War Crimes Act statunitense, approvato nel 1996, è rimasto inattivo fino al dicembre 2023, quando il Dipartimento di Giustizia ha incriminato quattro russi per presunte violazioni dello statuto federale sui crimini di guerra – il primo (e unico) procedimento penale nei 30 anni di storia della legge. L’evidente riluttanza ad applicare lo statuto altrove ha suscitato critiche in concomitanza con l’intensificarsi della campagna militare israeliana a Gaza. Il 21 ottobre 2024 gli avvocati del Dipartimento di Giustizia hanno scritto una lettera al predecessore di Bondi, Merrick Garland, “sottolineando il ‘divario evidente’ tra l’approccio del dipartimento ai crimini commessi da Russia e Hamas e il suo silenzio sui potenziali crimini commessi dalle forze armate e dai civili israeliani”.
La richiesta della Hind Rajab Foundation mira a colmare questa lacuna. “C’è una discrepanza tra il dettato della legge e il modo in cui gli Stati Uniti stanno agendo”, dice Romm. “Abbiamo presentato questa richiesta perché vogliamo che procedano ad un’azione penale, e perché possono farlo. Hanno giurisdizione e i reati sono molto chiari”. Il caso Shatel è la prima richiesta di accusa presentata da HRF negli Stati Uniti, ma Romm afferma che non sarà l’ultima. “Tutto quello che posso dire è che ce ne saranno altre”, mi ha detto. “Cercheremo di far arrestare tutti quelli che possiamo”.
Non esiste prescrizione per le più gravi trasgressioni del diritto internazionale. Per gli autori di crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio, la spada di Damocle del pubblico ministero incomberà su di loro per tutta la vita. Lo hanno dimostrato a dicembre i tribunali tedeschi nel processare un ex nazista centenario, quasi 80 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. “Nonostante questa carneficina vada avanti da quasi due anni, sulla base degli standard giudiziari è ancora agli inizi”, ha affermato Finucane. “Quando si tratta di accertare le responsabilità per i crimini più atroci l’attesa è molto lunga, e queste cose vanno avanti per decenni”.
Per chiunque chieda giustizia e accertamento delle responsabilità per i crimini israeliani a Gaza, il messaggio è chiaro: che fioriscano mille procedimenti giudiziari.
Tyler McBrien è caporedattore di Lawfare e borsista del Law & Justice Journalism Project 2024-25 [organizzazione internazionale indipendente impegnata a promuovere lo stato di diritto in tutto il mondo, ndt.].
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)


