Un noto chirurgo britannico afferma che alcuni feriti nelle manifestazioni del 2018 a Gaza non sono ancora stati curati

Un ferito soccorso il 14 maggio 2018 nell'anniversario della Nakba (AFP)
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Peter Oborne e Jan-Peter Westad

30 marzo 2020 – Middle East Eye

Terence English parla con MEE del coronavirus, del disinteresse di Israele e dei fallimenti della politica britannica a Gaza

Terence English è un celebre chirurgo britannico. Nel 1979 ha eseguito il primo trapianto di cuore riuscito nel Regno Unito.

Ha ricoperto la carica di presidente del Royal College of Surgeons e della British Medical Association, nonché di rettore del St Catharine’s College di Cambridge. Nel 1991 ha avuto un riconoscimento per i suoi successi chirurgici con la nomina a cavaliere.

Così, quando si è ritirato 20 anni fa con molte onorificenze avrebbe avuto tutto il diritto di riposarsi e di dedicarsi al giardinaggio nella sua casa di Oxford. Invece Terence English è andato a Gaza.

Dapprima si è dedicato alla creazione di programmi di formazione dei medici palestinesi negli interventi di primo soccorso. Quindi lui e suoi colleghi chirurghi hanno contribuito alla realizzazione di vari progetti sanitari e alla formazione dei medici locali.

Uno dei progetti più importanti ha aiutato centinaia di persone bisognose di complessi interventi di ricostruzione degli arti.

Molti di questi pazienti erano adolescenti e giovani colpiti alle gambe dalle forze di sicurezza israeliane mentre prendevano parte alle proteste della Grande Marcia del Ritorno nei pressi della barriera perimetrale che circonda i due milioni di abitanti di Gaza.

Nel corso dei mesi di proteste settimanali almeno 190 persone sono state uccise da colpi d’arma da fuoco, di cui almeno 68 il 14 maggio 2018, quando a Gaza migliaia di persone hanno protestato contro l’apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme.

Nel secondo anniversario dell’inizio di quelle proteste, e con la situazione a Gaza più disperata che mai e complicata dalla diffusione della pandemia da coronavirus, English, ora 87enne, ha deciso per la prima volta di parlare.

Il chirurgo britannico ha una buona rete di contatti, tanto da aver avuto negli ultimi anni la possibilità di esprimere in privato le sue preoccupazioni con importanti ministri del governo britannico. Eppure, dice, i suoi sforzi non hanno dato alcun risultato.

“Gaza ora si trova in una grave crisi umanitaria”, dice English al Middle East Eye.

Le marce a Gaza sono iniziate il 30 marzo 2018, quando Ahmed Abu Artema, un giornalista palestinese, ha invitato i rifugiati palestinesi a radunarsi pacificamente vicino alla recinzione per chiedere il diritto di tornare nelle terre da cui furono costretti a fuggire o furono espulsi durante gli eventi che portarono alla creazione di Israele nel 1948.

La risposta israeliana è stata violenta. “Quando sono iniziate le proteste presso la recinzione c’è stato un numero enorme di feriti”, ricorda English.

“Adolescenti e giovani hanno avuto il ginocchio trapassato dai colpi dei cecchini israeliani dall’altra parte della barriera, che hanno utilizzato proiettili ad alta velocità”.

Egli descrive le orribili ferite caratterizzate da ossa e tessuti maciullati. Altri sono stati uccisi.

Israele ha sostenuto che stesse proteggendo la recinzione da manifestanti e attivisti violenti. English dice che le persone che ha curato erano manifestanti arrabbiati ma pacifici.

“Si immaginava – afferma – che le manifestazioni si svolgessero in tutta la Cisgiordania e a Gaza in segno di protesta per il diritto al ritorno, un bisogno particolarmente forte a Gaza”.

“Ora un numero enorme di palestinesi sono stati resi disabili”.

Per coloro che vengono operati con successo, possono essere necessari fino a sei mesi prima che possano camminare di nuovo, e c’è una lunga lista di attesa.

Ma molti non sono così fortunati. “Ci sono stati altri casi in cui l’unico modo per evitare mesi di sofferenza è stato eseguire un’amputazione”, dice English.

È difficile sapere con precisione quanti abbiano ancora bisogno di un intervento chirurgico, ma si stima che 500 di queste complesse operazioni siano state eseguite, con altre 700 persone ancora in attesa di cure.

Questo è comunque un risultato straordinario, date le condizioni dei servizi sanitari a Gaza.

Dice English: “Il primo problema è il blocco, che rende difficile garantire le risorse mediche necessarie. L’altro problema è che il conflitto ha distrutto gran parte delle infrastrutture. I generatori ospedalieri non sono affidabili, gran parte dell’acqua non è potabile e le scorte sanitarie sono scarse.”

English ricorda di aver chiesto alcuni anni fa al dottor Yousef Abu Reesh, viceministro della sanità di Gaza, quali fossero le gravi carenze da superare nella fornitura di assistenza sanitaria. Reesh rise e rispose: “Tutto!”

Il blocco israeliano di Gaza è in atto da quando Hamas ha assunto il controllo nel 2007, dopo aver vinto le elezioni legislative e poi estromesso dall’enclave costiera [l’organizzazione] Fatah del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, a seguito di violenti scontri tra le fazioni rivali.

Ora English ritiene che la minaccia del coronavirus, con una serie di casi già segnalati sul territorio, renda ancora più urgente la necessità di revocare il blocco.

“Densamente popolato in una stretta striscia di terra e con un servizio sanitario già sottoposto a uno sforzo enorme, si teme che il virus sarebbe impossibile da controllare e avrebbe effetti catastrofici”, afferma.

La gente di Gaza è molto più vulnerabile. Vivono in condizioni di sovraffollamento e non hanno nessuna possibilità di auto-isolarsi in modo efficace.”

English ritiene che il governo britannico abbia l’obbligo di fare di più per i palestinesi, a causa della sua storica responsabilità per la Dichiarazione Balfour del 1917, in cui si impegnò a sostenere la creazione di un focolare ebraico in Palestina.

“L’ultima frase della Dichiarazione Balfour chiarisce che fornire un focolare nazionale agli ebrei in Palestina non dovrebbe ‘pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina’. Questo chiaramente non è quello che è successo.

“Sono rattristato del fatto che la Gran Bretagna non abbia fatto di più per onorare le proprie responsabilità nei confronti dei palestinesi”.

Il suo messaggio è chiaro: “Dobbiamo fare pressione sui nostri parlamentari affinché sostengano il popolo di Gaza. La Gran Bretagna deve assumersi le sue responsabilità”.

Un modo in cui English crede che il governo britannico possa offrire un aiuto è quello di discutere con Hamas, con l’obiettivo finale di ricostruire una leadership unita in grado di rappresentare tutti i palestinesi in negoziati sostenuti a livello internazionale con Israele.

“È nell’interesse di entrambi i popoli e nel nostro interrompere il ciclo di conflitti e sofferenze a cui abbiamo assistito negli ultimi 50 anni”, sostiene il chirurgo.

Una tale mossa richiederebbe un coraggio diplomatico e politico, dal momento che dal 2001 nel Regno Unito l’ala militare di Hamas è considerata un’organizzazione terroristica messa al bando.

Il governo britannico descrive la sua politica nei confronti della Palestina l’istituzione di “una pace giusta tra uno Stato palestinese democratico stabile e Israele, sulla base sui confini del 1967, che ponga fine all’occupazione di comune accordo”.

Ma English teme che una tale politica rischi di essere superata dagli eventi, in quanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, incoraggiato dal sostegno del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e con macchinazioni politiche interne che sembrano destinate a tenerlo in carica, minaccia di indebolire ulteriormente le prospettive di un accordo futuro sensato, lasciando ancora una volta i palestinesi nella sofferenza.

“I servizi sanitari dipendono inevitabilmente dalla politica”, dice English.

“Con Trump in carica, Netanyahu crede di poter fare né più né meno ciò che vuole e con lui al potere potrebbe mirare ad annettere ciò che resta della Cisgiordania.”

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)