I veri architetti e attuatori del regime di supremazia ebraica in Israele

Itamar Ben-Gvir Foto: Fadi Amun
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Hagai El-Ad

2 settembre 2023,  Haaretz

La gran parte di quelli che sono così sprezzanti nei confronti di Ben-Gvir convivono molto bene con l’apartheid israeliano – semplicemente non lo proclamano ai quattro venti

Nei mesi trascorsi da quando il deputato Itamar Ben-Gvir (Sionismo religioso/Otzma Yehudit) è stato nominato Ministro della Sicurezza Nazionale di Israele non c’è stata settimana in cui un general maggiore dell’esercito o della polizia in pensione non abbia sommerso di profondo disprezzo il “ministro della distruzione”, la nullità che non capisce nulla e ha ancor meno esperienza, il “sospetto” dello Shin Bet che è diventato il “ministro rompiballe” e chi più ne ha più ne metta. La rabbia è così pervasiva che ci si può solo fermare e chiedersi: che cosa si sta cercando di nascondere dietro tutto questo?

Perché, dopo tutto, è doveroso e persino logico disprezzare Ben-Gvir per le politiche violente, piene di odio e razzismo che promuove. Ma qual è il significato di questo profondo disprezzo? Anni fa (ai bei vecchi tempi, quando era semplicemente un “sospetto”), il servizio di sicurezza dello Shin Bet lo giudicava “persona acuta, brillante e astuta”. Verso la fine del 2022, dopo le elezioni per l’attuale XXV Knesset, Ben-Gvir è riuscito a sfruttare la forza politica della sua piccola fazione alla Knesset (i sei parlamentari di Otzma Yehudit) e gli è stato assegnato il portafoglio ministeriale che aveva richiesto.

Da allora il ministro rompiballe si è lavorato il commissario di polizia e i suoi pezzi grossi come se fossero palle da impasto a temperatura ambiente.

Per non parlare del percorso che la nullità ha superato dall’essere una persona con la quale il primo ministro Benjamin Netanyahu rifiutava di farsi fotografare a persona che non molto tempo fa è stata complice nella manovra di Netanyahu per annullare il principio di ragionevolezza [per cui l’atto legislativo si deve adeguare ad un canone di razionalità per evitare decisioni arbitrarie ed irrazionali, ndt.] dell’Alta Corte. Tutto ciò sembrerebbe sottintendere l’esistenza di una certa dose di saggezza pratica e di acume politico. Forse non si dovrebbe essere meno automaticamente sprezzanti nei confronti di chi ha raggiunto tutto questo?

Invece di affrontare seriamente una tale figura politica e l’agenda che persegue, molti preferiscono deglutire e rallegrarsi del fatto che il gabinetto di sicurezza non venga convocato (per paura che Ben-Gvir possa ottenere delle informazioni) e che vengano prese decisioni importanti sopra la sua testa (perché è una superflua nullità). Una nullità talmente superflua che sta guidando un movimento ben radicato a plasmare un discorso pubblico che normalizza la supremazia ebraica e la grida ai quattro venti – e sono proprio quei quattro venti l’essenza della questione.

In effetti, la grande maggioranza di coloro che sono così sprezzanti nei confronti di Ben-Gvir convivono molto bene con un Israele di supremazia ebraica – semplicemente non lo gridano ai quattro venti, il cielo non voglia. Questo è il metodo su cui si fonda il regime israeliano: garantire “l’assoluta uguaglianza dei diritti”, come previsto dalla Dichiarazione di Indipendenza (e poi imporre un regime militare ai cittadini palestinesi e saccheggiare le loro terre); consentire ai sudditi palestinesi presenti nei territori di presentare ricorso all’Alta Corte di Giustizia (che a sua volta convalida la tortura, le demolizioni di case, l’incarcerazione senza processo e il furto di terre); avviare un’indagine quando i soldati uccidono palestinesi (e poi chiudere il caso senza incriminazioni); essere una “nazione startup” (e utilizzare la tecnologia avanzata qui sviluppata per migliorare il controllo sui palestinesi); parlare quando necessario del “processo di pace” (e nel frattempo continuare a costruire colonie).

In breve: supremazia ebraica? Fantastico. Ma Otzma Yehudit (potere ebraico) al governo? Orrore. Tutto – uccidere, espropriare, opprimere – solo non alla luce del sole, in modo da mantenere una legittimità internazionale, in modo da non diventare come il Sud Africa durante il regime dell’apartheid – pur nel pieno di una assennata realizzazione dell’apartheid. Anche se questo metodo necessita di più tempo, richiede pazienza e una certa abilità, se si guarda ai risultati di 100 anni di sionismo è impossibile mettere in dubbio il fatto che, almeno finora, ha avuto successo. Un buon trucco: praticare l’apartheid ed essere considerati, agli occhi del mondo – e ai nostri stessi occhi – una democrazia.

Affinché la faccenda funzioni, ogni apparato statale deve adempiere al proprio compito: Knesset ed esercito, ministeri e tribunali. Questi ultimi – i tribunali, che sono stati al centro del discorso pubblico degli ultimi mesi, attaccati da destra e difesi da sinistra – hanno effettivamente svolto un ruolo centrale nel convalidare il regime di supremazia ebraica.

E non solo per quanto riguarda la situazione nei territori occupati, ma per l’intero territorio governato da Israele: basti ricordare la legge sui Comitati di Ammissione, che consente alle comunità costruite su suolo pubblico di respingere le domande di residenza di candidati “non idonei” – leggi “arabi”. (Nel 2014 l’Alta Corte si era rifiutata di intervenire; proprio di recente la Knesset ha esteso l’applicazione della legge con il sostegno dei membri dell’opposizione), o la Legge fondamentale di Israele come Stato-nazione del popolo ebraico (nel 2021, l’Alta Corte ha respinto le istanze contro la legge – 10 giudici ebrei contro l’unico dissenso del giudice arabo, George Karra). Coloro che non ne sono ancora convinti dovrebbero ascoltare ciò che l’ex presidente della Corte Suprema, Dorit Beinisch, ha affermato solo pochi mesi fa sul ruolo della Corte: “La Corte Suprema non ha mai deciso che le colonie non sono legali, che è un principio fondamentale nel diritto internazionale.”

No. Siamo parte del sistema. Se Israele sta dando battaglia sulla scena internazionale, non intralciamo, al contrario: sosteniamo.

La Corte Suprema è tanto lontana dal ministro rompiballe quanto l’est è dall’ovest. Questo è ovvio. Ma quale dei due ha contribuito maggiormente a far avanzare il progetto delle colonie e al suo successo? In realtà, la risposta a questa domanda è banale: è la Corte Suprema, un gioco da ragazzi. Ma emotivamente, è una risposta che – per la maggior parte dei sostenitori della nostra “democrazia”– è intollerabile.

Lo stesso discorso vale quando si tratta di un elemento cruciale della capacità di Israele di governare i palestinesi: la necessità di insabbiare così tante uccisioni di palestinesi e nel contempo conservare una facciata di legittimità per la violenza di Stato. Israele lo fa da anni con grande abilità. Dopo le ultime elezioni, Ben-Gvir ha cercato di promuovere una “legge sull’immunità” per il personale delle forze di sicurezza, ma alla fine è stato convinto (per il momento) ad abbandonare l’idea. Presumibilmente perché ha capito che, in pratica, l’immunità che Israele concede ai membri delle sue forze di sicurezza è quasi assoluta, e che è preferibile andare avanti così fino in fondo, anche se a volte implica aspettarsi ciò che a prima vista sembrano “indagini”.

Chi ha maggiormente contribuito alla creazione di questo stato di cose, in cui l’inutile teatrino delle indagini serve con successo a Israele sulla scena internazionale e gli consente di continuare a uccidere palestinesi senza assumersene alcuna responsabilità? L’avvocato generale-procuratore generale-Alta Corte di Giustizia militare (nota anche come “élite giudiziaria”), o Ben-Gvir? Ancora una volta, la risposta è banale: la faccenda dell’immunità è frutto del lavoro di quegli stessi onesti giuristi; Ben-Gvir non vi ha parte. Si potrebbero citare molti altri esempi, non ultimo il ricco campo delle modalità “legali” con cui la terra palestinese è stata saccheggiata ai suoi originari proprietari e passata nelle mani dello Stato dal 1948 ad oggi. Ma ormai il metodo è chiaro.

Arriviamo così al 2023, e ai quattro venti: molti ebrei in Israele hanno deciso di non voler più stare a questo gioco, per quanto vincente e intelligente possa essere. Vogliono di più e più velocemente. Possono essere definiti estremisti o messianici, ma questo non spiega nulla. Come è successo? Sul piano emotivo è impossibile non distinguere la necessità di colmare il divario tra un’ideologia chiara e comprensibile a tutti e la sua attuazione eccessivamente complessa. Perché se va bene la “supremazia ebraica”, perché non il “Piano di vittoria” (di Bezalel Smotrich), o “Lasciate vincere le forze di difesa israeliane” e tutto il resto? A livello pratico, secondo loro, è possibile e auspicabile portare avanti il progetto di supremazia ebraica tra il fiume e il mare con più forza, meno parole, e una maggiore dose di grettezza, potere e violenza. Sì, palesemente, ai quattro venti.

La verità è che non c’è motivo di stupirsi se gradualmente sempre più ebrei abbiano deciso di seguire la strada lastricata da tutte quelle sedicenti persone ragionevoli e di arrivare a conclusioni che stanno ora scioccando le persone ragionevoli.

Ecco cosa sta succedendo ora: volenti o nolenti, lo stiamo sentendo sempre più gridato ai quattro venti. Vediamo che qualcuno grida la supremazia ebraica in tutte le direzioni. In realtà quel qualcuno non è Ben-Gvir. Quella figura è il primo ministro (che nel 2016 ha telefonato al padre del sergente Elor Azaria [che uccise un palestinese ferito incapace di nuocere, ndt.]), il presidente della Corte Suprema (che proclama che la Legge Fondamentale dello Stato-Nazione non vìola l’uguaglianza), il comandante dell’aeronautica (con più di 500 bambini palestinesi uccisi a Gaza nell’estate 2014) e il capo dello Shin Bet (che invoca la “difesa di necessità” per la tortura, e, meraviglia delle meraviglie, ogni palestinese finisce per confessare). Gli artefici della supremazia ebraica e i suoi attuatori. Sono loro che non solo sono d’accordo con Ben-Gvir sul principio della supremazia ebraica, ma sono anche quelli che ci hanno portato a questo punto e sono stupiti e furiosi quando lui e i suoi simili vogliono andare oltre.

Questi sono i fatti. Ma sono emotivamente insopportabili. Cosa fare? Trasformare Ben-Gvir in una sorta di clown marginale, svilirlo per non dover affrontare la persona che grida ai quattro venti, che è la persona nello specchio. Bandire le prove. Ben-Gvir è tutto ciò che non siamo. E poi potremo gridare “De-mo-cra-zia” fino a diventare rauchi.

Ma qui la democrazia non è mai esistita. Anche se potessimo tornare al novembre 2022, senza Ben-Gvir e con il principio della ragionevolezza, saremmo comunque uno Stato di apartheid. È questo ciò che vogliamo? Le prossime elezioni forse rafforzeranno Ben-Gvir o forse, al contrario, lo metteranno effettivamente da parte, ma la strada aperta dagli architetti della supremazia ebraica – la strada aperta dal sionismo così come è stato messo sin qui in pratica – resterà aperta. Se non Ben-Gvir, altri la percorreranno.

E qui sta la vera difficoltà: sebbene l’apartheid con il trucco del rossetto burocratico sia uno stratagemma intelligente, ad un certo punto cesserà di persuadere. Dopotutto, c’è la realtà, ci sono i fatti, c’è la vita stessa. Il fatto è che anche dopo 100 anni di sionismo, metà della popolazione tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo è palestinese. Se veramente ci importa della vita, dobbiamo trovare una risposta ad una domanda sensata: che tipo di vita costruiremo qui tutti insieme?

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)