Daoud Kuttab
18 settembre 2020 – Al-Monitor
In seguito agli accordi di normalizzazione tra EAU, Bahrein e Israele, potrebbero essere concessi incentivi finanziari all’Autorità Nazionale Palestinese, benché senza un pieno consenso palestinese nessun cambiamento sia in vista.
In tempi normali continue pressioni e l’uso combinato di carota e bastone in genere rendono più malleabile la maggior parte dei leader politici. Ma quando si ha a che fare con un conflitto durato decenni come quello israelo-palestinese e con un leader ostinato come il presidente Mahmoud Abbas, spesso le pressioni ottengono i risultati opposti.
La posizione del dirigente palestinese sembra aver sorpreso il presidente USA e la sua cerchia ristretta. Il 16 settembre il presidente Donald Trump, parlando con i giornalisti, ha rivelato le sue tattiche di pressione finanziaria nei confronti dei palestinesi. Si è vantato di aver tagliato 750 milioni di dollari di supporto annuale ai palestinesi e di aver fatto pressioni sui Paesi arabi perché facessero altrettanto.
“Ho smesso di finanziare i palestinesi abbastanza presto perché stavano parlando male del nostro Paese. Quindi da subito ho smesso di finanziarli. Penso che finalmente i palestinesi stiano per rendersi disponibili [a un accordo],” ha detto Trump durante una conferenza stampa alla Casa Bianca.
Trump ha sostenuto che i due Paesi del Golfo che hanno normalizzato i rapporti con Israele smetteranno di finanziare i palestinesi. Tuttavia il ministro dell’Economia degli EAU Abdullah bin Touq Al Marri ha lasciato intendere che, invece di tagliare gli aiuti, gli Emirati Arabi Uniti stanno prendendo in considerazione investimenti sia in Israele che nei territori palestinesi, affermando che nei loro impegni economici bilaterali gli EAU ed Israele stanno progettando di includere alcune aree palestinesi.
Finora i palestinesi si sono opposti agli accordi, una posizione che si è ulteriormente rafforzata quando David Friedman, ambasciatore [USA] in Israele si è messo nei guai allorchè ha pubblicamente chiesto che Abbas venga sostituito da Mahmoud Dahlan [ex-responsabile dell’intelligence di Fatah a Gaza ed espulso dall’organizzazione per aver partecipato all’assassinio di Arafat e per corruzione, ndtr.], l’ex-leader di Fatah che vive negli EAU.
In un’intervista su Israel Hayom [giornale israeliano gratuito di destra, ndtr.] è stato chiesto a Friedman se l’amministrazione Trump stesse cercando di “nominare” Dahlan nuovo leader palestinese. Secondo l’articolo di Israel Hayom, Friedman ha risposto: “Ci stiamo pensando.” Ed ha aggiunto: “Non vogliamo progettare la dirigenza palestinese.” In seguito Friedman ha affermato che intendeva dire: “Non ci stiamo pensando.”
Ma, indipendentemente dalle sue intenzioni, il danno era stato fatto. L’attivista palestinese Dimitri Diliani, di Gerusalemme, portavoce della cosiddetta ala riformista di Fatah, ha stigmatizzato le affermazioni di Friedman, insistendo sul fatto che i palestinesi continueranno a scegliersi i propri dirigenti.
La dichiarazione di Friedman ha persino obbligato Dahlan a fare altrettanto. Dahlan ha twittato: “Chiunque non sia eletto dal proprio popolo non può guidarlo e raggiungere l’indipendenza nazionale…Penso fermamente che la Palestina abbia disperatamente bisogno di rinnovare la legittimità di qualunque dirigenza e istituzione palestinese, e ciò si otterrà solo attraverso corrette elezioni nazionali e non è ancora nato chi possa imporci la propria volontà.”
Invece di obbligare Abbas ad ammorbidire la sua posizione, le pressioni di USA e EAU sembrano avergli dato una nuova vitalità politica.
Si potrebbe sostenere che l’appoggio popolare emerso a favore di Abbas sarà di breve durata, ma la situazione è che i palestinesi stanno godendo di una rara atmosfera di unità nazionale. Di fronte a un pericolo esiziale sia l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che i dirigenti islamici hanno seppellito l’ascia di guerra per rafforzare la pace, mettendo da parte le differenze tra loro.
Mentre i rivali politici di Abbas sono in svantaggio, l’opinione pubblica è ancora scettica riguardo alla dirigenza e alla strategia. Gli attuali tentativi di intensificare la resistenza popolare non sono riusciti a prendere piede. Mentre i dirigenti palestinesi stanno ancora guidando macchine di lusso e vivono agiatamente, la popolazione palestinese sta soffrendo e i dipendenti pubblici non ricevono lo stipendio.
L’impatto definitivo degli accordi sulla dirigenza palestinese alla fine porterà alle elezioni a lungo attese. Un complessivo riesame popolare degli obiettivi, dei mezzi e della dirigenza per una nuova strategia per la liberazione può essere fatto solo all’interno di un contesto di elezioni sia legislative che presidenziali, così come con la riconvocazione dei rappresentanti del Consiglio Nazionale Palestinese [organo legislativo dell’OLP, che negli ultimi 22 anni si è riunito solo una volta, ndtr.]. Il tentativo di unità nazionale verrà preso seriamente solo quando sarà annunciata la data per le elezioni e verrà riformata l’OLP.
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)