Linah Alsaafin
24 giugno 2025 – Middle East Eye
Il massacro quotidiano e la morte per fame dei palestinesi nel territorio assediato continuano ogni giorno, mentre Netanyahu cerca di spostare l’attenzione del mondo su Teheran
Lungi dal placarsi o rallentare, lo sterminio di massa, gli sfollamenti forzati e la carestia deliberatamente provocata contro la popolazione palestinese assediata nella Striscia di Gaza sono proseguiti a pieno ritmo dal momento in cui Israele ha iniziato ad attaccare l’Iran due settimane fa.
Eppure, invece di diventare il tema centrale del dibattito, persino ora che per la prima volta nella nostra vita abbiamo assistito a bombardamenti di città e paesi israeliani, la distruzione intenzionale di Gaza è stata relegata, nel migliore dei casi, ad una semplice cifra nel bollettino quotidiano delle vittime. Nel peggiore è stata completamente ignorata.
Martedì notte il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato che Iran e Israele avevano concordato un cessate il fuoco in seguito agli attacchi coordinati del primo contro la base aerea statunitense evacuata di Al Udaid, in territorio qatariota. Nello stesso giorno, prima delle dodici, nella Striscia di Gaza sono stati uccisi 71 palestinesi, il giorno prima 50 e nelle 48 ore precedenti altri 200.
Il primo genocidio al mondo trasmesso dalla televisione continua all’insegna di una abietta disumanizzazione e di una consapevolezza universalmente accettata: ci si aspetta che i palestinesi muoiano e che dovrebbero farlo in silenzio, nonostante la barbarie senza pari del massacro israeliano appoggiato dall’Occidente.
Nel fine settimana il giornalista palestinese Amin Hamdan, la moglie e le due figlie piccole sono stati uccisi in un attacco israeliano. L’ufficiale della protezione civile palestinese Mohammad Ghorab, il cui padre, anch’egli membro della protezione civile, è stato ucciso durante la Grande Marcia del Ritorno del 2018, e suo figlio sono stati colpiti a morte in un attacco israeliano al campo profughi di Nuseirat. Sono stati assassinati anche tre ragazzi che raccoglievano legna da ardere a Shujaiya.
Ahmad al-Farra, primario di pediatria e ostetricia dell’ospedale Nasser, ha avvertito che i neonati in terapia intensiva neonatale rischiano di morire entro 24-48 ore a causa della carenza di latte artificiale per prematuri, una conseguenza diretta dell’assedio israeliano.
Un membro della Knesset israeliana si è recentemente vantato che se 100 palestinesi vengono uccisi in una sola notte, “a nessuno importa”.
Quando penso ai soldati israeliani dal grilletto facile che attirano persone disperate e affamate in un luogo con la promessa di cibo solo per poi ucciderle con proiettili di cecchino e bombardamenti di artiglieria, senza fare distinzioni tra uomini, donne e bambini, penso a quanto sia limitata la lingua inglese nel riuscire a definire atti così profondamente malvagi.
“Non c’è cibo”
Organizzati dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), una sigla da neolingua orwelliana come nessun’altra, sostenuta dagli Stati Uniti, questi “centri di soccorso” sono essenzialmente trappole mortali che hanno ucciso più di 450 palestinesi da quando un mese fa hanno iniziato a distribuire con il contagocce magri rifornimenti di cibo.
Prima del 7 ottobre 2023 i giorni gloriosi del blocco israelo-egiziano su Gaza vedevano una media di 500 camion entrare quotidianamente nel territorio. Ma dopo che il 2 marzo Israele ha imposto un blocco totale su Gaza, senza alcun ingresso di cibo o aiuti umanitari, la GHF è diventata l’unico mezzo per fornire assistenza salvavita.
Il genocidio israeliano ha ucciso migliaia di minori, i quali minori costituiscono metà della popolazione della Striscia di Gaza. Li ha privati di un futuro, negando loro l’istruzione e una vita dignitosa, compresa la sicurezza di una casa e di una famiglia. Ha creato la più grande coorte di bambini amputati della storia recente.
Secondo l’ONU, a Gaza il numero di bambini sotto i cinque anni che soffrono di malnutrizione acuta è quasi triplicato nella seconda metà di maggio rispetto ai tre mesi precedenti.
Questa carestia programmata su larga scala spinge le persone, con i loro corpi emaciati, verso i centri GHF, dove, se sono fortunati, possono avere accesso a un sacco di farina. Altrimenti potrebbero morire o tornare a casa senza niente dopo aver sopportato ore di viaggio a stomaco vuoto.
Mohammad al-Darbi, un ragazzino di 12 anni che, dopo aver camminato per otto ore per recuperare due chilogrammi di farina solo per essere poi derubato dai ladri, ha implorato il mondo complice riempiendosi la bocca di sabbia. “Non c’è cibo, niente da mangiare”, singhiozzava.
Qualche giorno prima il corpo senza vita del ventenne Mohammad Yousef al-Zaanin era stato trasportato tra la folla su un bancale di legno, con i vestiti striati di farina. Il giovane era di Beit Hanoun, una città del nord in gran parte distrutta, ed era partito nella speranza di riportare un sacco di farina per la madre e le sette sorelle, sfollate e affamate. Ma la sua storia, la sua vita e la sua morte, sono state ampiamente ignorate.
Il giorno dopo, un attacco israeliano al quartiere di Zeitoun a Gaza City ha ferito gravemente Inas Farhat e ucciso i suoi sette figli. A maggio il marito e i nove figli di una pediatra sono stati uccisi in un attacco aereo sulla loro casa, alcuni dei loro corpi carbonizzati e irriconoscibili, a pezzi. La sadica normalizzazione dell’uccisione di intere famiglie si ripete all’infinito.
“La sofferenza qui è immensa”, ha scritto Fadel Naim, un chirurgo ortopedico di Gaza, il quale afferma che gli ospedali, a malapena operativi, accolgono centinaia di feriti ogni giorno. “Le famiglie sono dilaniate non solo dalle bombe, ma anche dalla fame, dalla paura e dalla disperazione. Eppure, il mondo rimane in gran parte in silenzio”.
Un perfetto spauracchio
In questo contesto il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha puntato su una guerra regionale, con l’obiettivo di salvare la sua carriera politica e ripristinare il paradigma della deterrenza che è andato in frantumi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Anche con il sostegno dei regimi fantoccio arabi, principalmente Egitto, Giordania ed Emirati Arabi Uniti, e il pieno appoggio della maggior parte dei Paesi occidentali, l’idea di compiere un genocidio che persiste da quasi due anni provoca inevitabilmente delle conseguenze. L’Iran e la facilmente sfatabile asserzione di un’imminente acquisizione di una bomba nucleare (si pensi alle inesistenti armi di distruzione di massa dell’Iraq) ha costituito il perfetto spauracchio, in preparazione da anni.
Gli attacchi missilistici e con droni dell’Iran contro Tel Aviv e altre zone di Israele hanno senza dubbio suscitato un certo grado di intima soddisfazione, dopo che per tanti mesi gli israeliani hanno sostenuto senza nessuna remora la punizione collettiva e lo sterminio di due milioni di palestinesi sottoposti al blocco.
La loro propaganda vittimistica, inclusa la raffica di condanne ipocrite e accuse di “crimini di guerra” dopo che un ospedale israeliano è stato colpito da un’esplosione, non inganna nessuno. A sua volta Israele dal 12 giugno ha ucciso più di 610 persone in Iran e ne ha ferite altre 4.746. Il bilancio delle vittime non include solo militari e scienziati nucleari, ma anche poeti, atleti e bambini.
Nel frattempo Israele continua a sganciare bombe di fabbricazione statunitense sulle “zone sicure” di Gaza, dove le tende sono l’unico rifugio per i palestinesi sfollati, la maggior parte dei quali negli ultimi 20 mesi ha perso la casa ed è stata costretta a fuggire ripetutamente da un luogo all’altro.
I bombardamenti di aree così densamente affollate hanno provocato lo sterminio di intere famiglie. Tra le vittime più recenti ci sono Mahmoud Rasras [operatore psicosociale molto impegnato a Gaza nelle attività di recupero di bambini traumatizzati dalla guerra, ndt.] e i suoi figli, Nidal e Ward. Pilastri della comunità, come l’amato comico e volontario presso organizzazioni benefiche Mahmoud Shurrab, sono stati uccisi nelle loro tende, perché, a quanto pare, la sicurezza di Israele dipende dal bombardare tende, affamare famiglie e bruciare o seppellire vivi sotto le macerie bambini innocenti.
Persino la sceneggiata di Israele che medita un cessate il fuoco è scomparsa dai notiziari, insieme alle notizie su negoziati o delegazioni che si spostano dal Cairo a Doha. Nessuno parla a nome dei palestinesi a Gaza, né l’Autorità Nazionale Palestinese collaborazionista nella Cisgiordania occupata, né i loro stessi compatrioti, che sembrano considerare i boicottaggi, le proteste e la disobbedienza civile, efficaci durante la Prima Intifada, come una reliquia del passato.
Come ha affermato Meqdad Jameel, scrittore e ricercatore della Striscia di Gaza: “Le persone sono diventate fantasmi. Tutti vivono in una terribile ansia, inorriditi dalla consapevolezza che il genocidio continuerà all’infinito, senza avere idea su come fermarlo”.
E queste persone esauste e profondamente traumatizzate continuano a essere ridotte a statistiche, invece di ricevere l’attenzione mondiale che meritano. Manteniamoci concentrati su Gaza. Li abbiamo già fortemente delusi; il minimo che possiamo fare è continuare a parlare, far rumore e diffondere le loro voci.
Dobbiamo far cessare la normalizzazione del massacro quotidiano di decine di palestinesi.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
Linah Alsaafin è una giornalista palestinese che ha scritto per Al Jazeera, The Times Literary Supplement, Al Monitor, The News Internationalist, Open Democracy e Middle East Eye.
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)