Federica Marsi
1 luglio 2025 – Al Jazeera
La Relatrice Speciale dell’ONU Francesca Albanese ha pubblicato un rapporto che fa il nome di diverse grandi aziende statunitensi che sostengono l’occupazione israeliana e la guerra contro Gaza. Ci sono anche diverse aziende di altri Paesi, dalla Cina al Messico.
La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati (TPO) ha pubblicato un nuovo rapporto che traccia una mappa delle aziende che sostengono Israele nell’espulsione dei palestinesi e nella guerra genocida contro Gaza, in violazione del diritto internazionale.
L’ultimo rapporto di Francesca Albanese, presentato il 3 luglio durante una conferenza stampa a Ginevra, fa il nome di 48 aziende multinazionali, tra cui i giganti tecnologici statunitensi Microsoft, Alphabet Inc. (la casa madre di Google) e Amazon. Come parte dell’indagine è stata inoltre creata una banca dati di più di 1000 aziende.
“L’occupazione perenne [di Israele] è diventata il terreno di prova ideale per i produttori di armi e per le grandi aziende tecnologiche, con un’offerta e una domanda significative, poco controllo e zero responsabilità, consentendo a investitori e istituzioni pubbliche e private di trarne profitto liberamente” si legge nel rapporto.
“Le aziende non sono più semplicemente implicate nell’occupazione, potrebbero essere coinvolte in un’economia di genocidio”, si legge, in riferimento all’attacco in corso contro la Striscia di Gaza da parte di Israele. Lo scorso anno, in un parere tecnico, Albanese aveva detto esserci “ragionevoli motivi” per ritenere che Israele stesse commettendo un genocidio nell’enclave palestinese assediata.
Nel rapporto si sostiene che i risultati dell’indagine illustrano “il motivo per cui il genocidio di Israele continua”, ovvero “perché è economicamente vantaggioso per molti”.
Quali aziende di armi e tecnologie sono identificate nel rapporto?
L’acquisto da parte di Israele di aerei da combattimento F-35 fa parte del più ampio programma di approvvigionamento di armi al mondo, che coinvolge almeno 1600 aziende in otto Stati. Fa capo all’azienda statunitense Lockheed Martin, ma i componenti degli F-35 sono costruiti in tutto il mondo.
L’azienda italiana Leonardo S.p.A. è indicata come quella che offre il principale contributo al settore militare, mentre l’azienda giapponese FANUC fornisce i macchinari automatizzati per le linee di produzione delle armi.
Nel contempo il settore tecnologico ha consentito la raccolta, la conservazione e l’uso governativo di dati biometrici dei palestinesi, “in sostegno alla politica discriminatoria dei permessi di Israele”, si legge nel rapporto. Microsoft, Alphabet e Amazon consentono a Israele “un accesso governativo virtualmente illimitato alle loro tecnologie cloud e di IA” potenziando le sue capacità di elaborazione dati e sorveglianza.
L’azienda tecnologica statunitense IBM è anche responsabile dell’addestramento di personale militare e dei servizi segreti, oltre a gestire la banca dati centrale dell’autorità per la Popolazione, l’Immigrazione e le Frontiere (PIBA) di Israele che contiene i dati biometrici dei palestinesi, si legge nel rapporto.
Secondo il rapporto sin dall’inizio della guerra contro Gaza nell’ottobre 2023 la piattaforma software statunitense Palantir Technologies ha ampliato il suo sostegno all’esercito Israeliano, e vi sono “ragionevoli motivi” per ritenere che l’azienda fornisca la tecnologia automatizzata di controllo predittivo usata per l’automazione delle decisioni durante le operazioni militari, per elaborare dati e produrre elenchi di obiettivi come quelli generati da sistemi di intelligenza artificiale come “Lavender”, “Gospel” e “Where’s Daddy?”

Le società complici che supportono Israele
Quali altre aziende sono identificate nel rapporto?
Il rapporto elenca anche numerose aziende che sviluppano tecnologie civili utilizzate come “strumenti a doppio uso” per l’occupazione di territorio palestinese da parte di Israele. Tra queste vi sono Caterpillar, Rada Electronic Industries di proprietà di Leonardo, HD Hyundai della Corea del Sud e il gruppo Volvo svedese, che forniscono macchinario pesante per la demolizione di abitazioni e la costruzione di colonie illegali in Cisgiordania.
Anche le piattaforme Booking e Airbnb sostengono le colonie illegali perché promuovono stanze d’albergo e altre proprietà in affitto nei territori occupati da Israele. Il rapporto indica la statunitense Drummond Company e la svizzera Glencore come i principali fornitori di carbone, importato principalmente dalla Colombia, per produrre l’elettricità per Israele.
Nel settore agricolo, la cinese Bright Dairy & Food è proprietaria della maggioranza di Tnuva, la più grande azienda alimentare israeliana, che trae beneficio dalla terra sottratta ai palestinesi dagli avamposti coloniali illegali di Israele. Netafim, un’azienda che fornisce tecnologia di irrigazione a goccia e che è per l’80 % di proprietà della messicana Orbia Advance Corporation, fornisce infrastrutture per lo sfruttamento delle risorse idriche nella Cisgiordania occupata.
Anche i buoni del tesoro hanno svolto un ruolo cruciale nel finanziamento dell’attuale guerra contro Gaza. Secondo il rapporto alcune delle più grandi banche del mondo, tra cui la francese BNP Paribas e la Barclays del Regno Unito sono intervenute per permettere a Israele di contenere il premio sui tassi di interesse nonostante il declassamento del credito.
Chi sono i principali investitori dietro queste aziende?
Il rapporto identifica le aziende di investimento multinazionali BlackRock e Vanguard come i principali investitori di diverse tra le aziende elencate.
BlackRock, il più grande gestore patrimoniale del mondo, è il secondo più grande investitore istituzionale in Palantir (8,6 %), Microsoft (7,8 %), Amazon (6,6 %), Alphabet (6,6 %) e IBM (8,6 %), e il terzo in Lockheed Martin (7,2 %) e Caterpillar (7,5 %).
Vanguard, il secondo gestore patrimoniale al mondo, è il primo investitore in Caterpillar (9,8 %), Chevron (8,9 %) e Palantir (9,1 %), e il secondo investitore in Lockheed Martin (9,2 %) e nel produttore di armi israeliano Elbit System (2 %).
Le aziende traggono profitto dai rapporti con Israele?
Nel rapporto si legge che “le imprese coloniali e i genocidi a queste associate sono state nel corso della storia promosse e favorite dal settore aziendale”. L’espansione di Israele in terra palestinese è un esempio di “capitalismo coloniale razziale”, in cui le aziende traggono profitto da un’occupazione illegale.
Da quando Israele ha lanciato la guerra contro Gaza nell’ottobre 2023 “le entità che prima avevano permesso e tratto profitto dall’eliminazione e cancellazione dei palestinesi in un’economia di occupazione, invece di disimpegnarsi sono ora coinvolte nell’economia di genocidio”, sostiene il rapporto.
Per le aziende di armi straniere la guerra è stato un affare lucroso. La spesa militare di Israele tra il 2023 e il 2025 è aumentata del 65 %, salendo a 46,6 miliardi di dollari, una delle più alte al mondo pro capite.
Diverse imprese quotate in borsa, in particolare nei settori delle armi, della tecnologia e delle infrastrutture, dall’ottobre 2023 hanno registrato un aumento dei profitti. Anche la borsa di Tel Aviv è salita come mai prima, del 179 %, con un aumento di valore di mercato di 157,9 miliardi di dollari.
Le compagnie di assicurazione internazionali, tra cui Allianz e AXA, hanno investito ingenti somme in azioni e obbligazioni legate all’occupazione israeliana, si legge nel rapporto, in parte come riserve di capitali ma in primo luogo per generare profitti.
Anche Booking e Airbnb continuano a trarre profitto da proprietà date in affitto nelle terre occupate da Israele. Airbnb per un breve periodo nel 2018 ha tolto dagli annunci le proprietà nelle colonie illegali, ma è poi tornata a donare i profitti da lì derivati a cause umanitarie, una pratica che nel rapporto viene definita di “humanitarian-washing” [un tentativo di migliorare la propria reputazione distogliendo l’attenzione dalle violazioni dei diritti umani di cui si rende complice, N.d.T.].
Le aziende private sono responsabili secondo il diritto internazionale?
Secondo il rapporto di Albanese, sì. Le aziende hanno l’obbligo di non violare i diritti umani attraverso azioni dirette o dei loro partner commerciali.
Gli Stati hanno la principale responsabilità di assicurarsi che le aziende rispettino i diritti umani e devono prevenire, indagare e punire gli abusi del settore privato. Le aziende devono però rispettare i diritti umani anche se gli Stati in cui operano non lo fanno.
Secondo il rapporto, un’azienda deve quindi valutare se le attività o le relazioni lungo la sua catena di approvvigionamento rischiano di causare violazioni dei diritti umani o di contribuirvi.
Il non agire in linea con il diritto internazionale può comportare una responsabilità penale. I singoli dirigenti possono essere ritenuti penalmente responsabili, anche davanti ai tribunali internazionali.
Il rapporto invita tutte le aziende a disinvestire da tutte le attività legate all’occupazione da parte di Israele del territorio palestinese, che è illegale secondo il diritto internazionale.
Nel luglio 2014 la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un parere consultivo che stabilisce che la presenza di Israele nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est deve cessare “il più rapidamente possibile”. Alla luce di questo parere consultivo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto a Israele di porre fine alla sua presenza illegale nei territori palestinesi occupati entro settembre 2025.
Secondo il rapporto di Albanese la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia “qualifica di fatto l’occupazione come un atto di aggressione… Di conseguenza, qualsiasi accordo che sostenga o appoggi l’occupazione e l’apparato ad essa associato può costituire una complicità secondo il diritto internazionale ai sensi dello statuto di Roma.
“Gli Stati non devono fornire aiuti o assistenza o partecipare ad accordi economici o commerciali e devono prendere provvedimenti per prevenire relazioni commerciali o finanziarie che aiutino a mantenere la situazione illegale creata da Israele nei territori palestinesi occupati”.
(traduzione di Federico Zanettin)